Vienna, Kunsthistorisches Museum.

Testo e fotografia Vincenzo Battista.

Da Rubens, che davanti a un Tiziano coglieva l’ispirazione per i suoi apocalittici quadri; Cezanne davanti a un Rubens capiva le sfumature e quelle forme rubiconde, ma poi virava su modelli astratti d’avanguardia, e non capite per quei tempi; Velazquez e il suo mondo della pittura, “allo specchio” ( vedete l’opera d’arte ), basito davanti alle opere di Raffaello; Manet invece su Velazquez ne intuiva la morbidezza dei toni, ispiratore e maestro degli en plein air impressionisti, ma che ne anticipa la visione e va oltre. Copisti, certo che no, ma molto di più, ci si esercitava, non era falsificazione, loro non ne avevano bisogno, poichè portavano avanti una personalissima inimitabile pittura protesa nel tempo, sperimentale e non certo del passato così come i copisti…. Ma dobbiamo scendere fino al Rinascimento e oltre: presi “d’assalto” Leonardo, Michelangelo, Raffaello, venivano imitati non copiati ( anche tra di loro, a vicenda). Raffaello in alcuni corpi che dipinge è soprattutto michelangiolesco… Studiare le tecniche, le soluzioni cromatiche, osservare le opere per sperimentare, capirne i toni, le pennellate .”I bravi artisti rubano, non “copiano”, le idee trasformandole”,( P. Picasso). Le sovrapposizioni di colore, le sfumature con effetto tridimensionale come in Caravaggio (dall’Europa scesero nel 1600 una schiera di copisti, detti caravaggeschi, che per denaro, a Roma, crearono una sorta di franchising su Caravaggio, una moda molto remunerata, con ricche vendite all’indomani della scomparsa del pittore inimitabile però). Poter fare apprendistato presso le botteghe d’arte o le scuole di pittura (Lorenzo il Magnifico e il suo ambiente di formazione, una
scuola, un laboratorio di apprendistato, artistica nel Giardino di San Marco a Firenze, dove giovani artisti come Botticelli, Leonardo Da Vinci e Michelangelo studiarono l’antichità classica), oppure, viceversa le “solitudini” nei musei: quale migliore occasione di sedere con il cavalletto davanti alle grandi opere dei Maestri del passato, dipingere e disegnare, prendere appunti. Davanti l’opera d’arte, quindi, è tutto lì, con c’è altro: la conoscenza senza mediazioni. Nei pomeriggi, oltre la lezione canonica nella materia di storia dell’arte nei licei dell’Aquila, portavo i miei studenti nei musei (certo, qualche volta ma era tanto), appunto davanti le opere d’arte soprattutto in una materia che si occupa di linguaggi visivi. Van Gogh studiava le opere di Delacroix o Millet, oppure si esercitava sulle stampe giapponesi. La sua formazione artistica, le riflessioni, l’evoluzione della sua pittura, le difficoltà che incontra, l’importanza della “copia” nella formazione artistica come lui afferma

“…Ho bisogno di gioia e di fiducia. Metto davanti a me come motivo

il bianco e nero di Delacroix o di Millet o la resa in bianco e nero delle

loro opere. E poi  v’improvviso sopra col colore, ma capiscimi bene, io non

sono proprio io, ma cerco di attenermi ai ricordi dei loro quadri, ma questi 

ricordi, la vaga rispondenza dei colori che io afferro con tutta la mia 

sensibilità, anche quando non sono quelli giusti, questa è la mia

 interpretazione personale.

(V. Van Gogh, Lettera a Theo, 6 luglio 1889).