Testo e fotografia Vincenzo Battista.
Un brand nell’immaginario di questi distretti paesaggistici dell’Appennino (chi poteva mangiarne la carne?), un tempo fortemente vocati all’allevamento ovino (la città di Aquila cresce sulla secolare, unica, economia di esportazione con il ritorno di ingenti capitali ( R. Colapietra e A. Clementi docet !). Si ripropone, quindi, un “brand identity” la “pecora alla cottora”, un archetipo alimentare e“sullo sfondo il fuoco”, un pensiero forte, che ha in sé una sorta di rito potremmo dire tribale, sia per la lavorazione della carne, gli ingredienti, le modalità di cottura, che per i tempi e le pause dei prodotti uniti tra loro nel brodo. Inizialmente i “fuochi” accesi (due) con gli alimenti nei tegami che cuociono e, infine, come vedremo, riuniti, spezie varie, patate e la carne di pecora (cosciotto) – lavorata attentamente per togliere il grasso, le fibre e le venature -. Il caldaio nel camino, portato a una temperatura costante con la legna aggiunta sistematicamente, ingloba il tutto con circa cinque ore di lenta cottura. A proposito, niente a che vedere con la ristorazione che a volte propone la stessa “pecora alla cottora”. Gli ingredienti: due cosciotti di pecora, cipolle, lauro, bacche di ginepro, rosmarino, patate, vino rosso, cognac, sedano, salvia, pepe, peperoncino, passata di pomodoro, conserva di pomodoro, carote.Lo chef e la sua preparazione “pecora alla cottora”: Primo Benedetti, Fontecchio.Un particolare ringraziamento ad Angelo Benedetti, già sindaco di Fontecchio.+

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