Testo e fotografia Vincenzo Battista.
Non sapremo mai nell’immagine fotografica che lo riprende, a sua insaputa, cosa stia mangiando a colazione il vetturino nella pausa solitaria, ma sappiamo che i regnanti, nobili di censo, nonché blasonata famiglia aquilana scesa dal calesse lussuoso e chiuso nella sua copertura fissa e retraibile per la stagione appena primaverile, sul perimetro murario della città italica di Peltuinum (VII sec. a. C. – I sec. d. C. secondo canoni urbanistici romani), sono in visita – scomparsi dall’inquadratura nella foto di Amalia Sperandio – presso le “antiche vestigia”, così chiamate da loro nel “Grand Tour”, proviamo ad immaginare, fuori le mura di Aquila che accoglie la loro residenza baronale. Sullo sfondo il tratto murario eroso difensivo, e oltre Barisciano alle pendici della montagna “La Selva” con gli ultimi cumuli di neve. Destino diverso toccò a Francesco di Marco, qualche decina di anni prima della fotografia dei regnanti, siamo agli inizi del ‘900: il carro trainato dai buoi per i lavori agricoli, nell’area meridionale di Peltuinum, appena fuori le mura, si inabissò improvvisamente e Francesco, il carro e i buoi furono ingoiati dal cratere che si era aperto al passaggio. Lui lanciò grida di sgomento quasi fosse un personaggio dei vinti in “Mastro don Gesualdo” di Giovanni Verga. Reagì. Lievi ferite, si rialzò, usci dal cratere, gli animali li tirò fuori, non sapremmo mai come ha fatto, e il carro in legno dalle enormi ruote poi, recuperato, ed estratto come un bene archeologico dagli stessi buoi. Non ci fu grande clamore a Prata d’Ansidonia, poiché Peltuinum, avrebbero detto più tardi nella piazza del paese, nascondeva grotte inesplorate e tutti lo sapevano, cavità per rifugiarsi, cunicoli di fuga dalla città romana per evacuarla in caso di pericolo, luoghi nascosti inesplorati nel ventre della città e soprattutto nel perimetro delle mura: nascondeva un alone di mistero, qualcosa di impronunciabile, una profezia dai tratti inquietanti, l’aurea misteriosa e la storia di alchimie esoteriche senza tempo, riti di invocazione al plenilunio, leggende in definitiva degli antenati di Peltuinum. Un enigma inalienabile, ancora intatto, e lì, disponibile, ma attenti a dove mettere i piedi… Camminare nella città di Peltuinum sembra, su alcuni aspetti, equivalere alla lettura del libro “ Memorie di Adriano” di Marguerite Yourcenar, la storia del potere divino, culti e rituali tra le pietre, i misteri di Eleusi o di Mitra tra l’immaginazione storicamente verosimile, sì verosimile… ma poi i piedi sprofondano, il suolo ingoia, porta giù tra nugolo di polvere che ci avvolge e finalmente si tocca terra, dopo alcuni metri, si tocca il nuovo suolo nell’antro buio, appena illuminato, che si manifesta in tutto il suo mistero. Un’imboccatura si apre, ipogea attraversa la città di Peltuinum, un canale sotterraneo passa sotto le vigne, tira dritto a Nord, un labirinto, giri sinuosi, poi terreni caduti dallo sbancamento dei terreni da parte dei coloni “l’assiduo lavoro fatto per tanti secoli dagli agricoltori”, entra appena la luce in questa “opera pubblica” sotterranea, andiamo avanti, proseguiamo nella “seconda opera pubblica, che ne rimanga a nostri giorni notizia…”. Grotta sotterranea dunque, “nell’oscurità di tanti secoli…”, “scarse memorie” ma siamo qui, ad esplorare il canale sotterraneo all’imbocco che ci siamo lasciati alle spalle in “San Paolo ad Peltuinum”, l’ingresso. E dopo ore inestimabili e incalcolabili, carponi nel budello, stimato in circa di 35 chilometri, sempre direzione Nord, una luce sul fondo, ci avviciniamo ad una apertura, risaliamo il cunicolo impervio, ci affacciamo sul bordo della terra davanti ad Amiternum, città fondata dai Sabini, detta “ai lati del fiume Aterno” (la cronologia la colloca tra il X – IX sec. a. C. e XII sec. a seguito dello spopolamento ed emigrazione nella nuova città di Aquila). Il mito è qui, nella Conca Aquilana, ha viaggiato nel tempo ipogeo, sotterraneo, ha viaggiato nelle “Memorie storiche della città di Peltuino, ossia Ansidonia, in cui si toccano molte notizie attinenti alla storia aquilana, anno 1797 “, di Romualdo Carli, professore di Diritto Civile nel Real Liceo Dell’Aquila. Il mito vaga, si poggia, sopravvive… Adesso è qui!