Testo di Vincenzo Battista.
La città delle assenze, anno XVI dell’Era fascista, (dal 29 ottobre 1937 al 28 ottobre 1938). La città è Aquila, ed è come se riflettesse su se stessa un sonno profondo, e nella sua diversità mediatica nelle immagini d’epoca che osserviamo – cosi si offre ai nostri occhi – è la città delle assenze nelle fotografie dell’Enit (Ente nazionale turistiche ferrovie dello Stato) realizzate ad Aquila. Sembrano non avere anima le immagini, indeterminata, vuota città, assente, forse è questa la percezione, ma tuttavia si mantiene asettica – storicamente è accertato -, distante da un principio partecipativo, tanto che lo sguardo è sulle cose, freddo, su una cercata appartenenza ad un ordine, un principio, una pedagogia urbanistica che si intercala in una dimensione mentale, non bisogna avere dubbi: è tutt’uno con il fascismo. Lo sguardo delle immagini non è sulle persone, assenti queste, fuori da un principio partecipativo che fanno somigliare poi, la città, molto alla pittura di Giorgio De Chirico, la Metafisica così chiamata, nel senso di straniamento da parte dell’osservatore nel guardare i quadri con piazze vuote, porticati vuoti, città vuota dove l’umanità é abolita, resettata e derubricata. I vuoti urbani di Aquila, dunque, nelle fotografie dell’Enit, le vie desertiche, una luce quasi ovattata della tarda primavera, le opere urbanistiche del regime fascista, i monumenti storici, la funivia del Gran Sasso queste alcune immagini. La città è da immaginare, non può essere così o meglio sì, lo è, per il regime fascista, che ha pettinato le coscienze ad immagine e somiglianza nella “calma violenza” del Ventennio, poiché ha eliminato le genti nel loro spirito più autentico, se non fatto prigioniero nella propaganda e nelle Adunate di popolo e guai a chi non partecipava! La città plagiata, delle assenze, senza ribellione e dissenso, opposizione, la città lisciata e sfiancata se non per gli aderenti al regime come ha scritto lo storico aquilano Raffaele Colapietra. L’ideologia fascista permeò e comandò la vita quotidiana degli aquilani, influenzando e sottoponendo la cultura, l’istruzione e le istituzioni locali al proprio credo come se si trattasse di una nuova religione. La città della calma apparente, levigata nelle immagini che osserviamo, resa docile, narcotizzata, è comunque oltrepassata…, Aquila poiché vale come tante altre città del regime, non fa differenza, nell’incubo di quegli anni del dominio fascista di cui ancora oggi viviamo gli strali storici e temporali – confortati tra l’altro da alcuni storici del Novecento – ossia gli atteggiamenti e modelli comportamentali per chi vorrà e avrà la capacità di attualizzarli oggi, nella non partecipazione delle persone, nelle decisioni senza ascoltare la città, panem et circenses, e in quella la calma apparente… che aspetta!
































