Testo e fotografia Vincenzo Battista.

Francesco De Marchi, ( Bologna, 1504 – L’Aquila, 15 febbraio 1576 ),  rinascimentale, animato dall’ ”Uomo nuovo”, proiettato verso le scoperte e la conoscenza del suo tempo. Alpinista, ingegnere, si muove in diversi campi dei saperi, noto tuttavia per l’avventura della prima ascensione, documentata, del Gran Sasso d’Italia, Corno Grande la vetta, “Corno Monte” come lui lo definisce. Agosto 1573, all’età di 69 anni, ma questa data è smentita dai fondi archivistici della Biblioteca Centrale di Firenze – manoscritto del racconto di Francesco De Marchi – che sposta la data in anticipo di dieci anni:1563. Ma non solo il Gran Sasso! De Marchi osserva e scrive sullo zafferano, viaggia negli altopiani di Aquila – che prima erano dei laghi. Documenta, “dove nasce il meglio zafferano che faccia nella Provincia di Abruzzo”, e poi ne descrive il suolo: “il terreno ghiaioso, et ha la grana grossa come se fosse arena grossa, questi tre elementi li dò per la cognizione dei terreni”. Questa pagina, in cui si parla dello zafferano, è contenuta del manoscritto autografo del sacerdote Francesco Calzoni redatto nel 1793, erede discendente della famiglia De Marchi, e conservato nella biblioteca dell’Archiginnasio di Bologna, sala manoscritti. Non lo Sappiamo, ma ci piace immaginarlo, se De Marchi fosse mai andato, si sia recato nella Piazza Grande di Aquila dopo aver scritto sui campi e sulla spezia dello zafferano, incrociando magari i mediatori dei ricchi mercanti di Norimberga, Augusta, Ulma, che lo pagavano in contanti e in anticipo, loro: siamo intorno al 1569 nella città di Aquila, ma in cambio ricevevano solo zafferano contraffatto, alterato o peggio raffinatamente adulterato. Gli aquilani dentro le libbre pronte per la spedizione ci mettevano di tutto per aumentare il peso e, quindi, consapevolmente: “ carducci, carne, pium’arso, avena, zuccaro, mele, vino ò altra qualsivoglia mestura et falsità, sciroppi caramellati, avena ‘abrustulita’ e pesta, fibre di carne affumicata per la quale se viene ad a agumentar il peso, et deteriorar et falsificar le zaffrane… “. Sì, così si truffava e non bastavano le sanzioni contenute dei “Capitoli della Zaffrana”: “cinq’anni de galera et ancho de perdere le zaffrane et farle brusciarelo zafferano, nela piazza pubblica della città dell’Aquila”. No, non si fermarono gli aquilani, non si arrestarono, drogati dai profitti illeciti e dagli enormi introiti, nemmeno davanti alle nuove norme promulgate per porre un freno alle frodi fiscali sullo zafferano, come si è detto, e tanto più, innanzi agli agenti tedeschi, ai loro intermediari, costretti a risiedere nella città dell’Aquila per controllare le libbre, l’imballaggio e la spedizione dei soli stimmi verso la Germania, nella grande piazza della città: gli agenti fermi, in piedi, a controllare con i loro interpreti, a visionare, a chinarsi sulle balle, aprirle e affondare le mani negli stimmi rossi il contenuto di spedizione, ma forse inutilmente, poiché gli aquilani, dall’altra parte della piazza compromettevano il mercato con il loro “demone” creativo del libero arbitrio sullo zafferano da contraffare, che si insinuava su quelle enormi montagne di zafferano poste sul basolato della piazza e, sopra tutto e tutti, comunque, viveva l’invincibile truffa tutta aquilana…