I ragazzi del liceo “Cotugno” de L’Aquila. Storia dell’arte: dalla “Serpa” all’opera d’arte.

Testo e fotografia Vincenzo Battista.

La lezione. L’incanto femminile seduce il mondo. La “dea dei serpenti”, rinvenuta in una tomba, 1500 a. C. a Cnosso. Altezza 29,5 cm. è Madre Terra, divinità del sottosuolo con il suo abito a falde ricadenti in uno stretto corpetto che sembra disegnato da Dolce e Gabbana per le donne siciliane. La statuetta ha i seni scoperti ma è sorprendente, perché tra i pugni delle braccia allargate stringe i serpenti e in testa ha un gatto, e mostra i due rettili con gli occhi spalancati, sguardo fiero, pronta a utilizzare i propri poteri divini, mentre il gatto è da accogliere per non lasciarlo preda del maleficio. La dea vuole dominare e piegare alla sua sacralità il tempo, immortale.

Ma che cosa sono, allora, la “serpa” e la jana, la jana- strega, la magara, la janara nei vari idiomi locali, dalla declinazione al femminile, rea e colpevole a sua insaputa di un lignaggio secolare, ho chiesto ai ragazzi del liceo “Cotugno”, nelle forme dialettali che rimbalzano nelle nostre contrade e sono ancora lì, seppur latenti, a testimoniare il passato? Certo forme dialettali diffuse, pronunciate, utilizzate un tempo, soprattutto nei paesi e non solo: a L’Aquila, via delle Streghe, non aveva porte poiché, si racconta, dagli usci socchiusi si potevano infilare le “jatte”, donne mutanti (portatrici di malocchio di notte e buone madri di giorno), minaccia di un esoterismo, mistica passione, streghe notturne e pagane degli incantesimi, dominio dei sogni dove gli incubi sono trascinati nella realtà latente che ha bisogno di soprannaturalità per ristabilire un ordine nella comunità locale.

Ed ora il Pantheon del dominio e dei domini, il quadro rivelazione di F. P. Michetti (1851 – 1929): Le serpi (1900), conservato nel Museo Michetti (MuMi) a Francavilla al Mare. Presentato alla Esposizione Universale di Parigi del 1900.

L’opera. Sfila questa sorta di presepe laico tra apparizioni, fumi e vapori, con le confraternite e gli stendardi mossi dalla brezza che vorticosamente sembrano braccia e lunghe dita che qualcosa vogliono rapire… e le sacerdotesse templari – forse di una metopa del Partenone – che oscillano, nel loro incedere con il “peso” della matassa di serpi rampicanti sui loro corpi ( a cui non danno importanza) ma che ostentano gli amuleti curativi preziosi che indossano, gli ori propiziatori cerimoniali scongiurano il male , i coralli devozionali dal potere inibitorio e poi i putti ( divinità greco-romane dell’amore – eros) preraffaelliti, che trasportano agnelli donativi per l’ara sacrificale o vasche rupestri della somma offerta e incensieri dai fumi afrodisiaci per gli dei. I bambini, invece, dalla nudità classica dell’età ellenistica sembrano dei re goti con in testa corone arricchite di pendenti preziosi, gemme, vetri, smalti e giocano, divertiti, con i serpenti non provano né paura e né ribrezzo: è un angolo ottuso, proviamo a dire, il quadro – superficie taumaturgica, un campo visuale vibrante di concause, gli elementi si scontrano, l’incubo è sul palcoscenico con quell’atmosfera d’incanto, le donne sollevano i bimbi per offrirli a San Domenico affinché li immunizzi dalle malattie, l’ordine è sconvolto in quel prato che ricorda la “ Primavera” di  Botticelli in cui puoi entrarvi dentro,  e meravigliarti, se vuoi, parteciparvi, perché no? Un fisheye grandangolo di un obbiettivo fotografico la tela grezza, biacca, spatole utilizzate, lunghe pennellate a tempera e pastelli così lavorata e ambientata in un crocicchio, la processione transita nelle campagne dove sono state appena raccolte le serpi, in quel purgatorio sospeso nel tempo che resterà tale: la sede gestatoria (nel quadro) del sacerdote officiante (potrebbe assistere alla consacrazione della divinità “serpa”? Qualcuno si è domandato dove è andato a finire, ma sullo sfondo comunque è la Madonna in trono e la statua di San Domenico, si scorge, in arrivo) è vuota e posta al centro della teatralità barocca monumentale che l’osservatore – noi con i ragazzi del liceo – scruta passargli davanti. Ottimo intuizione in  F. P. Michetti, prevista :  è questo in definitiva il quadro totemico –  evento di una cultura sciamanica della bestia serpe che non ha chiesto udienza, per entrare, non ha strisciato incuneandosi e mappando la terra e annusando le cose degli uomini, ma viceversa è lì esposta, elevata al rango, mitigata, onorata e resa interlocutoria : miglior attrice protagonista, miglior sceneggiatrice, miglior montaggio, migliori costumi ed effetti speciali: fa incetta di premi, in un remake che ha bypassato, lei la “serpa”,  l’immondo e tetro mondo degli abissi ( il serpente, nelle prime pagine della Bibbia, è  animale astuto, simbolo del male che perverte la ragione e fa dubitare) a cui era stata confinata e invece è lì, sì,  adesso: si compiace la “serpa”, con lei si dialoga; e forse ascolta, non potrebbe essere diversamente in quel parterre… tutto è per lei nella diagnostica del male.

Le immagini. Fotografia Vincenzo Battista.

“Le serpi” di F. P. Michetti. Altezza: cm 380; larghezza: cm 970. Insieme della tela e particolari. Frontespizio della tesi di laurea. Coperchio di urna cineraria a forma di serpente della città romana di Amiternum, MuNDA, L’Aquila. Monte San Franco (Gran Sasso d’Italia), primavera inoltrata: una vipera esce dalla sua buca. I “serpari”, la statua e la processione di San Domenico Abate e delle serpi a Cocullo (AQ).