Papa Francesco e Celestino V che ascoltava il silenzio. La Perdonanza.

Testo e fotografia Vincenzo Battista.

E se papa Celestino V, in quei cinque mesi e nove giorni del suo pontificato, avesse avviato un sinodo (non si sarebbe chiamato così, allora) riunendo gli eremiti? Non sapremo mai se lo ha pensato. Papa Francesco lo ha fatto – non è una Fake news – ma certamente una provocazione per il nostro tempo, come ha scritto “L’Avvenire”. Solo a pronunciarla la parola cupa eremita, il nome viene dal greco eremos, o vita nel deserto. Il convegno, a cui parteciperanno gli eremiti provenienti da tutto il mondo, dai luoghi più impervi e di confine – il loro numero è in aumento – si terrà nel 2023 a Roma, nel mese di maggio. Il piccolo cammino sinoidale così definito. Lui, Francesco, per intenderci, nelle sue azioni propositive, è il papa che ha affermato: “ chi sono io per giudicare  gli omosessuali ” tanto si pone in avanti in una “visione”, e nella prossima Perdonanza di agosto sarà a L’Aquila, sulla soglia della Porta Santa di Celestino V che perimetra il “Perdono”, per ritirarsi e appartarsi nel silenzio primigenio, come quell’uomo, eremita, venuto dalle spelonche e dalla solitudine, dalla separazione del mondo, nella dimensione anacoretica essenziale e dirimente nel nascondimento della montagna appenninica, l’ascetismo, lo stesso di decine di uomini della conca aquilana. La purificazione di frà Pietro del Morrone, il suo sentiero stretto percorso che si chiude alle spalle, una pratica di vita “ribelle”, l’essenzialità del silenzio di noi stessi, una “connessione” nella solitudine che da sempre fa parte dell’immaginario collettivo: lui Pietro, si decostruisce nella semplicità, opera una spoliazione da ogni sovrastruttura per diventare un’icona comunicativa senza tempo e spazio giunta fino a noi. Questo sa Francesco che metterà le sue impronte in quei calzari rattoppati, sul saio rammendato e lacero che era la sua cella, sì di frà Pietro, con indosso quella bisaccia vuota trascinata nelle falesie dell’eremo del Morrone. Lo può fare papa Francesco, lasciandosi dietro una Chiesa che lo giubila, una Curia dalle mani ben curate, ma in affanno lo segue, distanziata, di molto, ma è la sua Chiesa che cerca di attualizzare. Una “Chiesa” che siamo andati a cercare in un luogo – altro, ma consapevole per molti, che risalgono il sentiero della montagna fino alla grotta dell’eremo di Celestino V sul Morrone. Le persone entrano nella cavità scavata nel ventre della falesia, sostano davanti alla croce, si bagnano i polsi e la fronte con l’acqua che filtra dalla roccia e si deposita in una vasca naturale: una sorta di battesimo e una purificazione, poi toccano la massa calcarea che spesso nasconde, celati, ex voto lasciati lì nelle fessurazioni della roccia. Nel fondo della cavità il letto di pietra dove riposava frà Pietro del Morrone, alcuni si distendono nella penombra: incubazione, il sogno, la memoria. Altri continuano a toccare la pietra fino all’uscita della spelonca, che restituisce aspetti e messaggi subliminali per la persona, così ritenuti, psicologiche sensazioni nel valore – soglia da attraversare (la stessa della Porta Santa di Collemaggio), restare lì a compenetrarsi con il santo eremita del Morrone: simmetrie, conformità, chiamiamole equivalenze con papa Francesco quando, poi, ci sarà un’altra “Perdonanza” dei luccichii spettacolari, sfarzi, e sgargiante vocazione e voglia di apparire, degli aquilani, ma non di tutti…