100 anni di Pierpaolo Pasolini. Una mostra – evento a Bologna città degli incontri…

Testo e fotografia Vincenzo Battista.

Pierpaolo Pasolini, studente del corso di Storia dell’Arte tenuto da Roberto Longhi a Bologna, in un’aula che sembrava la scenica “ Lezione del dott. Tulp “, il quadro olio su tela di Rembrandt (farà piacere a Pasolini), possiamo immaginare ma, viceversa, invece di assistere alla vivisezione di un cadavere, Longhi “ apriva” il Rinascimento con il bisturi nella sua narrazione, e Pasolini insieme agli studenti del corso osservavano le immagini proiettate, prendevano appunti e seguivano il commento del più grande storico dell’Arte del Novecento. Bologna, “Folgorazioni figurative”, le stesse che ebbe Pasolini davanti a Longhi, oltre il titolo della mostra a lui dedicata, la città è resa mappa antropologica urbana, un percorso da compiere dalla casa natale, al liceo “Galvani”, l’università e tanti altri luoghi della memoria del poeta, topografia del personaggio Pasolini che lì nacque e si formò. I luoghi, le frequentazioni, i siti materiali resi diagramma nell’omaggio che la città tributa. Alberto Moravia ai suoi funerali, nella commemorazione, un frammento:” Abbiamo perso prima di tutto un poeta. E poeti non ce ne sono tanti nel mondo, ne nascono tre o quattro soltanto in un secolo. Quando sarà finito questo secolo, Pasolini sarà tra i pochissimi che conteranno come poeta. Il poeta dovrebbe esser sacro. Poi abbiamo perduto anche un romanziere. Il romanziere delle borgate, il romanziere dei ragazzi di vita, della vita violenta. Un romanziere che aveva scritto due romanzi anch’essi esemplari, nei quali, accanto a un’osservazione molto realistica, c’erano delle soluzioni linguistiche, delle soluzioni, diciamo così, tra il dialetto e la lingua italiana che erano anch’esse stranamente nuove. Ha fatto poi una serie di film alcuni dei quali sono così ispirati a quel suo realismo che io chiamo romanico, cioè un realismo arcaico, un realismo gentile e al tempo stesso misterioso. Altri ispirati ai miti, il mito di Edipo per esempio. Poi ancora al grande suo mito, il mito del sottoproletariato, il quale era portatore, secondo Pasolini, e questo l’ha spiegato in tutti i suoi film e i suoi romanzi, di una umiltà che potrebbe riportare a una palingenesi del mondo”. La mostra “Folgorazioni figurative”, dal titolo evocativo che il giovane Pasolini ha avuto  durante le lezioni, (sottopasso di Piazza Re Enzo, fino al 16 ottobre), è la esposizione di considerevole ampiezza e  complessità dell’apparato comunicativo nell’allestimento, la metodologia, il dispiegamento semantico multimediale che fa di Pasolini, come abbiamo visto nei suoi film, una sorta di certosino amanuense (che disegna le miniature medioevali) ed è proprio così che il poeta ci vuole rendere partecipi del suo linguaggio cinematografico comparativo nelle arti visive del Rinascimento, e oltre, in definitiva è questo lo scopo della mostra: compenetrazioni tra i personaggi, ambientazioni dei suoi film interfacciati ai grandi della pittura, cioè i Masaccio, Masolino, Giotto, Piero della Francesca, Bronzino, Pieter Brueghel il Vecchio, El Greco, la cultura islamica, a ancora Bellini, Mantegna, Velázquez, Jan van Eyck, Balla dei Futuristi, Morandi, Guttuso, Braque, le  sculture negre di Picasso e poi Caravaggio, sì, quel Caravaggio che nelle bettole maleodoranti e fumose di Trastevere beve, insulta a punto di fioretto tra prostitute e tagliagole, si batte, barcolla, si ubriaca, sbanda, sviene per poi risvegliarsi lavato di tutto punto nelle lenzuola di lino, i candidi cuscini della residenza del cardinale Del Monte: il suo mentore, lo protegge, è il suo mecenate. È Caravaggio, niente e nessuno sarà più di lui, se pensiamo che riesce persino a dipingere la polvere che si alza dai tavolati calpestati dai suoi personaggi. Caravaggio mette sui volti dei santi e delle Madonne il popolo minore, le prostitute affogate nel Tevere, quei personaggi laceri e affamati delle peggiori condizioni sociali, emarginati, meretrici, lavandaie, “giovinetti vestiti da donna”. Così, proviamo a pensare a un parallelismo, anche Pasolini, affianca, in alcuni suoi film con Totò, Anna Magnani, Silvana Mangano, Maria Callas ( Uccellacci e Uccellini, Mamma Roma, Teorema, Medea), il sottoproletariato urbano delle baraccopoli del Tevere, delle bidonville del “Miracolo economico”, giovani sdentati, sporchi, antisociali che spesso delinquono, pellegrini che vivono nelle periferie ma che non entrano in città, vagabondi, i nuovi schiavi, mercenari della giornata da sfangare che vedono dalle baracche il primo consumismo italiano avanzare, ma ne restano distanti. Loro sono sottratti da Pasolini a quel mondo, a quello status sociale, è lui l’unico che può farlo, e quelle ombre sono rese protagoniste nei film: interpreti dalle storie personali che nessuno avrebbe mai trasformato in icone della filmografia. Scrive Pasolini: “Tutt’intorno si stendevano ancora prati abbandonati, pieni di gobbe e monticelli, zeppi di creature che giocavano coi zinalini sporchi di bianco va moccio o mezzi nudi. “Erano tutti contenti e scherzosi, non pensando manco lontanamente che le gioie di questo mondo son brevi, e la fortuna gira…”. “La luna era ormai alta nel cielo, s’era rimpicciolita e pareva non volesse più aver a che fare col mondo, tutta assorta nella contemplazione di quello che ci stava al di là. Pasolini è folgorato da Longhi, ne rimane calamitato, una sorta di magnetizzazione, tanto è evidente che nei suoi film la parabola delle arti visive c’è , presente, ma ancora di più, come se avesse “staccato” gli affreschi, le storie che narrano, i gesti che compiono i personaggi, le ambientazioni pittoriche, i fondali, la natura, in un sorta di traslazione che la mostra puntualmente offre ai visitatori come osmosi tra arti visive e cinematografia, fino a giungere a Rosso Fiorentino dei manieristi, in “La deposizione di Volterra”, o Pontormo “ Il Trasporto di Cristo” che Pasolini cristallizza e ricostruisce minuziosamente nel film “ la ricotta” del 1963. Ancora lui: “ Ho nostalgia della gente povera e vera che si batte per abbattere quel padrone senza diventare quel padrone”. Infine “Caro Diario”, di Moretti, la musica al pianoforte quasi fosse un requiem e la vespa che viaggia dove ” È stato ammazzato Pasolini”, fino ad un laconico monumento in cemento cadente, il luogo dell’omicidio e intorno erbacce e la desolazione del suo martirio: “Amo ferocemente, disperatamente la vita. E credo che questa ferocia, questa disperazione mi porteranno alla fine”. ( Pierpaolo Pasolini).