Castrovalva, microcosmo della storia.

Testo e fotografia di Vincenzo Battista.

E’ senz’altro il sito urbanistico più audace che mai potremmo vedere, estremo, nella sua concezione unica di difesa, sigillato, lungo uno stretto, alto crinale, a strapiombo nella valle del Sagittario, la Terra di Castrovalva offre una lettura esclusiva, avvincente; austero borgo sfida l’esiguo “spazio abitato” con le case mura costruite al limite del precipizio e delle leggi statiche sul costone roccioso, e dentro, ancora oggi, una ridotta piccola comunità dall’antica storia di sfruttamento, soprusi e angherie, da raccontare. La forma urbana di Castrovalva (frazione di Anversa degli Abruzzi)  quindi l’immagine sfumata che così ne fece il feudatario intorno al 1150 (citata nel Catalogo dei Baroni, una sorta di catasto) con la “potestà di raccogliere cittadini e di fare popolo, di reggerli e governarli, di esigere dazi e tributi, di godere contemporaneamente di beni, di trarre ogni potere civile e politico dal possesso del suolo. Il feudatario giura fedeltà al sovrano e gli rende omaggio dovuto. Il giuramento  l’affermazione religiosa e politica di essere fedele. L’omaggio  la prova di sottomissione, fatta inginocchiandosi e mettendosi nelle mani del sovrano” scrive Antonio Genovese nel suo lavoro editoriale ” Castrovalva, memorie storiche” (edizioni L’Atelier del Sagittario), oltre il dovere di fornire, in caso di guerra, un cavaliere, un armigero, due scudieri, armati e a cavallo: il servizio militare che il feudatario doveva predisporre per la corona e per le 20 once di rendita dello stesso feudo, che provenivano dai dazi e tributi degli abitanti di Castro, che senza nessuna libertà, sottomessi per sempre, non potevano tra l’altro trasferirsi in altra località. Fare popolo in definitiva, questa era la finalità del feudatario, reggerlo e governarlo per generazioni e trarre ogni potere civile e politico poichè si possedeva il suolo, la “Terra”. Sul versante religioso, le cose non andavano meglio, tanto che gli abati del monastero di San Vincenzo al Volturno, che intorno al Mille possedevano le contrade del Sagittario, costringevano gli abitanti in uno stato di soggezione tale da renderli schiavi, sottomessi, come le terre, i boschi, i fiumi, gli animali, e infine loro, gli uomini. A Castrovalva ancora oggi vengono ricordati come ” seguitasanti”, i sacrifici della gente che doveva vivere imitando i santi martiri, senza diritti, castigati, con solo doveri e imposizioni. La lettura del paesaggio, attraverso documenti e atti del fondo notarile della sezione dell’ Archivio di stato di Sulmona, L’Aquila, Chieti e Napoli, va oltre una mera descrizione delle carte e delle consuetudini dei sistemi feudali, demaniali, soggetti alla corona. Si ricostruisce quasi in vitro un microcosmo preso a campione con le leggi, i regolamenti, tutti, dalla parte del potere locale: dal diritto delle primizie, cioè i coloni dovevano offrire i primi frutti raccolti, alla legna secca pagata con una tassa; dal pagamento del pascolo alle regalie per il feudatario a Natale e a Pasqua; dall’uso del forno baronale, dell’acqua che bisognava assolvere con una somma di denaro, al diritto di portare la zappa o l’accetta con una tassa fino alla decima: una parte del raccolto andava al barone e una parte al monastero, a quella Chiesa che per molti, e molti secoli ancora, avrebbe reso inconciliabile il profitto con la semplicità della devozione cristiana, popolare, da cui essa stessa proveniva e traeva origine…