Testo e fotografia Vincenzo Battista.

Le immagini dall’elicottero pilotato da Davide Zecca, L’Aquila.

Seconda metà del XIII secolo, San Franco l’eremita vive nella “grotta spinosa”, il suo rifugio di Pizzo Cefalone. Miele, erbe e frutti selvatici il cibo, le sorgenti per dissetarsi. E’ alla ricerca di un luogo estremo, camminava di notte, i massi precipitavano dalla montagna delle “Cafasse”, la solitudine selvaggia così gli scritti agiografici della biografia del santo eremita. La grotta, la contemplazione nella valle del “Vasto” e il pane nero ammollato nell’acqua, la raccolta della nocciole e del ribes, gli incontri con i pastori, la carne di castrato degli animali che cadevano dai dirupi dentro i solchi della montagna e il pecorino condiviso con i viandanti diretti nei centri abitati della valle. La carne essiccata con il sale, le penitenze e le quaresime. La pietra sfiorata dall’eremita Franco e l’acqua che fuoriesce, i miracoli leggendari. La grotta di “Peschioli”, la rupe di Pizzo Cefalone, la ricerca della perfezione. I santi ritenuti immuni dalle crisi esistenziali. Il lupo che aveva rapito un neonato alla famiglia di boscaioli e lo restituisce a San Franco. Le guarigioni miracolose nella piazza di Assergi. La grandine, le bufere di pioggia, l’enorme coltre di neve che copriva il paesaggio, le tormente di neve e le valanghe della “Portella” ( 2385 m) fermate da lui ai limiti del borgo di Assergi. La cavità a 1700 metri di Pizzo Cefalone dove morì e le campane che iniziarono a suonare senza che nessuno nel borgo le muovesse. E infine gli orsi e i lupi dei boschi nella fascia boschiva del Cefalone ( 2533 m) resi mansueti dal santo.