Quando il dramma diventa scultura.

Testo e fotografia di Vincenzo Battista.

Una furia iconoclasta, una modellazione spinta in avanti tanto da creare un caso, un mistero, un enigma nella seconda ondata del Rinascimento, tra il 1463 e il 1490. Ospitato a Bologna nella chiesa di Santa Maria della Vita, autore Niccolò dell’Arca, il gruppo di terracotta del Compianto sul Cristo Morto, in abiti rinascimentali, eleva la plastica drammaticità della scultura, la figurazione a principi comunicativi che nemmeno Donatello, uno dei tre sigilli del Rinascimento, aveva mai concepito fino a quel tempo. Pathos, strazio del dolore, gesti drammatici e poi i volti, le vesti che si aprono dal vento impetuoso. Le sette figure a grandezza naturale non occupano solo lo spazio espositivo, ma “urlano” il dolore che solo la scultura a tutto tondo può rappresentare.

E infine D’Annunzio, un testimone.

“Le Marie intorno sembrano infuriate dal dolore – Dolore furiale. Una verso il capo – a sinistra – tende la mano aperta come per non vedere il volto del cadavere e il grido e il pianto e il singulto contraggono il suo viso, corrugano la sua fronte, il suo mento, la sua gola. L’altra con le mani tessute insieme, con i cubiti in fuori, ammantata piange disperatamente. L’altra tiene le mani su le cosce col ventre in dentro e ulula”.  Settembre  1906, Gabriele D’Annunzio.