Testo e fotografia Vincenzo Battista.

Storia dell’arte, materia esterna dei commissari nominati agli esami di maturità, tra pochi giorni, si inizia il 21 giugno. Storia dell’arte dunque, torna dopo molti anni, a sua insaputa ridotta a recitare un ruolo di quarta fila che purtroppo le appartiene, e lo vedremo, nel pantheon delle materie, un ossimoro  nel Belpaese (i depositi della pinacoteca di Brera costituiscono il 50% delle opere esposte nei saloni, solo per fare un esempio, ma è così anche per altri luoghi museali italiani, senza considerare i Beni culturali del paesaggio) che manifesta viceversa, da sempre, la sua estetica del bello e del piacere non solo nell’arte delle forme diffuse, ma nella natura poiché questa, nelle sue molteplici sfaccettature, vive nell’arte dei linguaggi visivi, come se l’una non potesse fare a meno dell’altra. La storia dell’arte, pertanto, è l’unica disciplina scolastica che associa le espressioni artistiche, il tempo della natura, la metodologia, il punto di vista cognitivo e filosofico, la fisica e la chimica, le tecnologie diagnostiche – analitiche e informatiche, e poi narrazione letteraria e la forza estetica, stili e concetti, ed è pertanto autosufficiente e al contempo stesso interdisciplinare, per usare un eufemismo, e si differenzia da altre materie forte del suo apparato visivo, e non è poco. L’opera d’arte si vede, ci giri intorno se è scultura, la puoi sfiorare, occupa lo spazio, dialoga resa materia, e ferma il tempo che intorno ad essa è transitato. Nell’opera d’arte, sì, è transitato, e infine cristallizzato e narrato, ma agli occhi più attenti, però. Provate a pensare in quale altra materia della didattica accada tutto questo. Ma essa, in fondo, è incapace di evolversi nella stessa didattica, “stanca”, non è interlocutrice del proprio tempo con le scoperte, innovazione e comparazione, senza considerare le rivelazioni dello studio sulle opere d’arte, i rinvenimenti e le nuove acquisizioni (i libri di testo di arte nella scuola non sono aggiornati annualmente come si dovrebbe), sono ignorate in una visione purtroppo permanente, stantia, ottocentesca e canonica della materia. E se lo spazio è un’entità indefinita e non limitata per l’astronauta Amstrong – Apollo 11, sbarco sulla luna (20 aprile 1969 ) –  poiché occupa e conquista lo spazio della superficie lunare, Lisippo, con la sua scultura “ Atleta che si deterge il corpo” ( 330 -320 a. C.), riesce anche lui a occupare lo spazio  nella scultura proiettando davanti al corpo le braccia protese senza che si spezzassero (dopo decenni di tentativi), liberandole dal corpo: una conquista anche questa dello spazio – tempo. Il gesto, quel gesto, è l’affermazione della modernità dell’uomo, il suo pensiero, la sua proiezione verso l’infinito che in quella scultura ellenistica vive. Lo spazio, quindi, è anche dell’arte. Gli affreschi di Pompei (200 a. C. circa – 80 a. C.), con i personaggi ritratti di spalle per convincere chi guarda che lì davanti vive ed è presente un’azione, lo spazio appunto. Ripreso da Giotto, quel concetto,  lo percepisce e infine lo “timbra” nel “Compianto su Cristo Morto” (databile al 1303-1305). C’è Gesù disteso e, davanti a lui, due donne con le teste velate che vegliano, dipinte di spalla. È Giotto che diviene pedagogico nella pittura e, se non lo abbiamo capito, vuole dirci che davanti a quelle donne c’è lo spazio, azioni, comportamenti, gesti, reazioni. La storia dell’arte si porta avanti. Lo spazio vive il tempo, intimamente non ne abbiamo una esatta consapevolezza (dovremmo aspettare Picasso), anche se siamo sempre connessi, tanto che lo spazio e il tempo ci appaiono cose astratte e concrete allo stesso modo. Ma sappiamo che esistono, e le parole spesso hanno difficoltà a spiegarli. Ancora la pittura, Masaccio con la “Crocifissione” (1426) e la Maddalena bionda prostituta con i capelli dorati e la veste rossa, ai piedi della croce implora con le braccia tese, ma è di spalle, sì di spalle. Ardita, spregiudicata, “insolente” la figurazione di Masaccio che pone la Maddalena in quella postura, dà le spalle al quadro in un atto che sembra d’insulto all’osservatore che osserva l’opera pittorica. Ma lo spazio vive, non indietreggia: tra lei inginocchiata e la croce c’è volume, atmosfera, dimensione che puoi intuire e convincerti della sua esistenza. Quella Maddalena, ancora di spalle (ipotesi di un pannello di un dittico pieghevole attribuito al Maestro di Campo di Giove, datazione incerta del XIV secolo), leggermente più defilata, marcatamente riconducibile al Masaccio, è presente nel catalogo della mostra “Il maestro di Campo di Giove, ricomporre un capolavoro” allestita nel museo MuNDA – L’Aquila. Ho chiesto agli studenti del liceo “Cotugno” di andare a vedere la mostra espositiva irripetibile per i contenuti di storia dell’arte, entrare quindi nel museo, guardare, comprendere le opere e il dialogante significato non solo religioso, e provare a sentirne l’odore in quelle sale di spazio – tempo dei pezzi esposti, per provare a raccontarlo quell’odore, nell’Esame di Stato, certo, dopo le competenze acquisite a conclusione del secondo ciclo di istruzione cosi come prevede l’articolato delle prove. Ma quell’odore, quindi, quell’esperienza sensoriale che viene da lontano, forse, sarà possibile, per loro, trasmetterla…