Il 19 marzo di Joseph l’ubbidiente. Seconda parte.

martedì 19 marzo 2013 06:52

di Vincenzo Battista

Maestri d’ascia, e falegnami di questa fedelissima Città, tutti coloro, che lavorano e vendono cose di legno lavorato, come sono scultori, intagliatori, ebanisti, tornitori, cerchiari, ed ogni altro artista che faccia qualunque lavoro di legno che si vede . . .“, nel 1750 chiedono la costituzione di regole e norme per la congrega “delli falegnami di Aquila” (manoscritto Mariani), una sorta di codice etico di amministrazione e governo dell’antica arte, un codice di norme, diritti e doveri degli iscritti, riuniti nelle forme e nei precetti da darsi, da passarsi, nella Cappella di San Giuseppe della chiesa di Santa Maria Civitatem.

Nella festa di San Giuseppe – è prescritto nelle carte del documento manoscritto – devono comunicarsi alla Cappella, e colui che mancherà di intervenire, senza giusta causa, o licenza del Priore, debba ogni volta pagare grana cinque a beneficio della Cappella, e mancandosi della comunione, debba il priore dargli una competente mortificazione. . . Dieci giorni prima della festa di San Giuseppe debba ogni Maestro pagare per la stesa mano del tesoriere grana venti, ed il lavorante che tira, paga grana dieci. E il giorno della festa debbano tutti intervenire nella Cappella, purché non infermi, o assenti per licenza del Priore, sotto pena di carlini cinque il Maestro, e grana venticinque il lavorante. . .“, che da qualche parte avrà pur visto la sua “icona” elevata a simbolo, appartenenza e prestigio finalmente raggiunto per una corporazione marginale e defilata come quella dei falegnami nelle ricche arti e corporazioni aquilane, ma poi ritratta nei santini, o dipinta, rappresentata iconograficamente nel culto che esprime, con i suoi attributi: San Giuseppe lavoratore, i suoi strumenti da falegname o il bastone fiorito.

Ed è rappresentato proprio in quest’ultimo modo nell’olio su tela (97 x77), anonimo di scuola napoletana, del XVIII secolo, “San Giuseppe e il bambino Gesù” – Soprintendenza Bsae L’Aquila.

Il bastone secco improvvisamente germogliò per volere divino, il segno rivelatore che lo indicava tra i tanti pretendenti come il prescelto per sposare Maria, padre adottivo di Gesù in questa festività del 19 marzo, protettore degli artigiani, carpentieri e ebanisti, economi, falegnami, operai, padri di famiglia e procuratori legali.

Nell’olio su tela, quindi, San Giuseppe è raffigurato con la barba folta accarezzata da Gesù, anziano e umile, dallo sguardo stereotipato assorto, rapito e pensieroso come narrano certe interpretazioni dei vangeli apocrifi, che lo vogliono personaggio addirittura minore nei grandi temi della Natività, l’Adorazione dei Magi, la Fuga in Egitto e il Ritorno a Nazareth, mentre è nelle devozione popolare che la sua paternità divina in Cristo, la sua esaltazione, nell’umiltà, tra la gente, assume rilievo solidale, determinandone un’iconografia vicina alle famiglie, le quali, molte, nei giorni che precedono il 19 marzo, ma anche dopo, nell’aquilano, invitano i “poveri”, gli “emarginati” a stare nella “famiglia”, serviti a tavola: esiliati, immigrati, ex comunitari, sfruttati, sottopagati, tanti “Joseph” – raccontano alcune testimonianze – che ogni anno rinnovano questo precetto, atto simbolico “dell’invito”. Nulla di più di un paradigmatico appuntamento, ma tanto di più per quelle storie di esodo forzato dalla miseria, vicine a noi, presto dimenticate, allontanate e scaraventate lontano, ma che infine ci appartengono.