Il grembo della pupa di pane dolce.

sabato 23 marzo 2013 06:34

Fotografie Vincenzo Battista

di Vincenzo Battista

Rito e cibo. Si sono messi in cammino da qualche giorno, spostati lentamente ma costantemente si sono avvicinati, hanno attraversato il lungo inverno e preso possesso del quadrante temporale, lo “snodo” transitorio, il crocevia della liturgia, il cerimoniale del “passaggio”, il protocollo spirituale della festività precedente la Pasqua (luce e buoi che li lasciano per la nuova stagione) su cui convergono cattolici, ortodossi e protestanti in un’unità ritrovata: laDomenica delle Palme.

Rito e cibo. Purificazione e presagi si aprono, sono annunciati nel culto popolare che prende forma con la quajjata (latte coagulato) offerta ancora in dono la mattina del giorno delle “Palme” in alcuni centri dell’aquilano, in quel simbolo di purezza, autenticità e preparazione alla settimana della Passione, prima che “l’intervallo”, l’arco temporale degli eventi luttuosi, si pieghi fino alla sua massima flessione nel significato della morte, il Venerdì Santo.

Cibo messaggio, quindi, magico, ma anche allegoria, quella dei pani dolci, preparati per propiziare il divenire, così un tempo ritenuto, il divenire dei giovani: cavallo, ciambelle insieme alle uova, pupe modellate per le bambine, tanto da augurare il passaggio da una vita puberale alla maturità. Il cavallo, invece, simbolo di forza e coraggio, per i maschi, nelle svariate forme che sembrano riemergere da un arcaico disegno di un mondo iniziatico nel quale i pani mangiati con quelle forme divinatorie il giorno di Pasqua rendevano gli stessi giovani immuni dalle malattie, dal malocchio, attraverso i dolci pasquali appunto, siglati con le iniziali in rilievo: messaggio mirato, personale, sigillo, nella simultaneità con la Pasqua, simbolo come sappiamo di Resurrezione, ma anche rinascita della natura, buon auspicio per la nuova stagione agricola.

Fecondità, transfert, l’uccellino modellato sopra la pupa di pane dolce per augurare fertilità, oppure l’uovo nel ventre della stessa pupa: magie, sortilegi scongiurati di culture locali comprovanti una matrice organica e solidale di un certo modello culturale ormai quasi del tutto disperso, effimere forme cotte al forno o sotto la brace del camino, interpreti di storie e processi mitici di un lontano passaggio nella storia e nel tempo, organizzato con la saga di tanti e tanti idoli, una sorta di talismani, divinità altre, vissute ed allevate però nel grembo e nella pratica della religione cristiana.

Ma prima la domenica dell’ulivo, la pianta sacra per il suo senso allegorico di mansuetudine e misericordia, emblema, è affidata al rito familiare del vessillo di pace così come racconta il mito in alcuni passi delle Sacre Scritture. L’ulivo è preparato, intrecciato con nastri, infine conservato dentro il perimetro della casa poiché la protegge. Scambiato, regalato per formare grandi croci e ricordare così nella Chiesa il trionfale ingresso di Gesù – osannato dalla folla, con i mantelli stesi a terra, e i rami di ulivo agitati – per rendere onore come vuole la grande pittura rinascimentale, cioè quella iconografia densa, racconto e memoria che esalta la rappresentazione in definitiva dell’evento “Entrata di Cristo in Gerusalemme”. L’ulivo è luce divina, sapienza, così come mostra appunto la pittura, rigenerazione, castità e prosperità, significati che ritroviamo nelle tradizioni ebree, cristiane e musulmane almeno per questo, non in lotta tra loro.

Palma benedetta che vieni una volta l’anno sammi dire se muoio quest’anno; se muoio fai tre zumpetti e se no statti fitta“. La palma e il fuoco si danno appuntamento e incrociano i destini il giorno della Domenica delle Palme (conclusione del lungo periodo quaresimale iniziato con il mercoledì delle Ceneri), nell’antico rituale domestico, popolare, solitario, che si volge indietro, evoca i simboli del’immortalità, gloria e vittoria della dea Palmaris: i riti propiziatori romani a cui gli eroi si sottoponevano, nei templi, avvolti dai fumi delle spezie aromatiche e dalle litanie di buon auspicio delle ancelle e dei sacerdoti officianti, cerimoniali.

La palma benedetta e ilfuoco, il bene e il male secondo l’usanza rituale della tradizione popolare, si affrontano in una prova: verdetto che stabilisce la vita e la morte, la misura dell’esistenza umana affidata al passaggio temporale di questa ricorrenza, al dinamismo di un’azione e al suo epilogo.

La Domenica delle Palme – raccontano gli anziani – si prendono due foglie di palma benedetta dell’anno precedente ormai secche. Si riuniscono fino a formare una croce e si gettano al camino o alla stufa. Se si sta zitta la palma, non zampetta e non crepita, significa che si vive ancora un altro anno; invece, se fa rumore, se crepita, allora arriva la morte . . .mentre se la giornata è chiara, l’annata agricola sarà buona, ricca di raccolti; se invece sarà piovosa, ci sarà un’estate asciutta, magra, scarsa di raccolti“.

Simbolico albero della vita, la palma, tra cielo, terra e inferi, si nutre della linfa dell’universo, simboleggia Cristo. Alla pianta vengono attribuite virtù miracolose specialmente contro i temporali, le grandini devastanti i primi germogli, fino all’Ufficio funebre così come viene ancora inteso da un residuale mondo contadino che lo custodisce: “Il rametto della palma – continua il racconto – si conservava nelle case e ognuno lo portava alla veglia del morto, lo bagnava dentro l’acqua, con un segno di croce benediceva il defunto”, come nel sarcofago di Giunio Basso del 359, conservato nelle Grotte vaticane, a Giotto (Scrovegni, Padova), e Pietro Lorenzetti (Basilica del Santo, Assisi); mentre i greci la offrivano ai vincitori dei giochi o ai guerrieri che si distinguevano nelle imprese militari, d’arme.

La palma nell’antichità: sigillo di gloria, “bene supremo degli uomini” narra Pindaro, poeta lirico greco (518 – 438 a.C.) nella prima delle sue Odi dedicate alle competizioni olimpiche, e punto di riferimento delle grida di tripudio delle folle acclamanti, benedicenti; simbolo di vittoria; proiezione delle qualità personali, fisiche e quindi morali; mito dell’immortalità poiché provenienti da un regno vegetale che secondo gli stessi greci era il “principio”, l’origine dei tempi più remoti, quando l’uomo e la natura s’incontrarono.

Da simbolo pagano la palma divenne invece albero della vita per i cristiani, “disegno spirituale” delle prime iconografie nelle miniature, si espande con le sue fronde. E’ segno distintivo, ancora, nel martirio dei Santi del cristianesimo. La palma di resurrezione tenuta in mano, mostrata, di nuovo torna come sigillo, ma in questo caso di un destino crudele a cui erano andati incontro i martiri trovando la morte nella “missione” di una morte spirituale, per la fede.