Fotografia Vincenzo Battista.

Il castello di Gradara è il complesso che sorge sulla sommità di una collina nel comune di Gradara, in provincia di Pesaro e Urbino, nelle Marche, costituito da un castello- fortezza medievale (la rocca) e dall’adiacente borgo storico, protetto da una cinta muraria esterna che si estende per quasi 800 metri, rendendo l’intera struttura imponente. Gradara è stata, per posizione geografica, fin dai tempi antichi un crocevia di traffici e genti: durante il periodo medioevale la fortezza è stata uno dei principali teatri degli scontri tra le milizie fedeli al Papato e le turbolente signorie marchigiane e romagnole.

La storia vuole che la rocca abbia fatto da sfondo al tragico amore tra Paolo e Francesca, moglie di Gianciotto Malatesta, fratello di Paolo, cantato da Dante nella Divina Commedia. Il castello, di proprietà dello Stato Italiano, dal dicembre 2014 fa parte dei beni gestiti dal Polo museale delle Marche. e del sottostante borgo storico nelle ore notturne.

Amor, ch’a nullo amato amar perdona è uno dei versi più noti dell’intera Commedia dantesca. È il verso 103 del canto V dell’Inferno, il cosiddetto canto di Paolo e Francesca.

Siamo nel secondo girone, quello dei lussuriosi, cioè quei peccatori che durante la vita hanno perseguito la soddisfazione dei piaceri contro ogni regola, abbandonandosi alle passioni. Sono puniti da un vento senza sosta che li trascina lungo tutto il girone: è il contrappasso per questi dannati che durante la vita si sono invece fatti guidare dal vento delle passioni.

Tra le anime peccatrici, Dante scorge due anime che procedono insieme e gli sembrano più leggere al vento che le colpisce («quei due che ‘nsieme vanno, e paion sì al vento esser leggieri». Si tratta di Paolo e Francesca, di cui si hanno scarse notizie storiche. Francesca era figlia di Guido da Polenta, signore di Ravenna e sposa di Gianciotto Malatesta, signore di Rimini. La donna si innamorò però del cognato, Paolo Malatesta, e quando il marito li scoprì uccise entrambi, probabilmente nel 1285.

I due amanti, uniti per sempre, si avvicinano a Dante e la donna inizia a raccontare il loro dramma, prima facendo riferimento alla sua città natale e poi all’innamoramento per Paolo:

prese costui de la bella persona

« Amor, ch’al cor gentili ratto s’apprendeA,

che mi fu tolta; e ‘l modo ancor m’offende.

Amor, ch’a nullo amato amar perdona,

mi prese del costui piacer sì forte.

Il verso fa parte della seconda di tre terzine dall’andamento anaforico:

Amor, ch’al cor gentil ratto s’apprende

Amor, ch’a nullo amato amar perdona

Amor condusse noi ad una morte:

La terzina completa è invece così costituita:

Amor, ch’a nullo amato amar perdona,

mi prese del costui piacer sì forte,

che, come vedi, ancor non m’abbandona.

Inoltre il verso centrale racchiude tre volte la parola “Amore”, donando così all’anafora una struttura simmetrica che ne rafforza l’enfasi.