Testo e fotografia Vincenzo Battista.

“Non troveremo nulla” si dissero, ma più avanti, nel villaggio abbandonato e desolato, muto e inanimato, loro, attraversarono le vie dismesse, se non una porta, leggermente aperta, attirò l’attenzione, l’uscio appena socchiuso, poiché così è stato da sempre nel recente passato. Un silenzio surreale, immobile, come se il tempo si fosse fermato e avesse intrappolato la vita che lì dentro scorreva. Qualcosa di cupo e oscuro si aggirava in quei dintorni nel borgo alle pendici dell’enorme massiccio abruzzese. Lì non c’era futuro apparente, e in quella casa poco illuminata, in penombra, la luce penetrava appena da una finestra, piccola con le grate, ai lati della porta. Non c’erano più sguardi, in quella casa, non c’era nulla che potesse attirare attenzione, mentre le ore, lentamente scorrevano, avanzavano… non c’era speranza, ma solo un cupo e oscuro dolore, la vita non abitava più li, era fuggita. Le ore avanzavano, dunque, e il Natale, la Notte di Natale, era oramai alle porte, si avvicinava, in quel crepuscolo. Poi, ancora un altro uscio appena aperto in questo luogo indecifrabile, e ancora un altro, con le scale che salivano nelle abitazioni, i camini della cucina, le sedie, la madia e le cassapanche che non potevano più raccontarne la vita quotidiana. “Il silenzio era disarmante”, ecco, così loro si dissero con un filo di voce, niente attirava più attenzione nella penombra dell’antico borgo. Poi si fermarono. Dopo aver girato per lungo e per largo il paese, sedettero sull’uscio di una casa anch’essa abbandonata, sostarono, quasi avessero avuto però un presentimento. E solo quando girarono lo sguardo lungo la via cordonata buia in pietra che scendeva, fino all’ultima casa che segnava il confine del borgo con le terre del fondovalle, e poi, lo stesso sguardo lo rivolsero verso la grande montagna che incombeva sul paese, notarono qualcosa di inconsueto, non vollero credere a loro occhi, “non era possibile” si dissero alzandosi di scatto in quella sera che avanzava e allungava le sue ombre. Sbalorditi, sì, che altro potevano dirsi, erano sbalorditi mentre i loro volti, attoniti, vedevano uno spettacolo irripetibile. Dal massiccio avvolto di neve, ma meglio da un suo maggiore canalone, in quella notte fonda rischiarata dalla luna, videro una grande quantità di enorme palline scendere dalla montagna: “il vischio” esclamò uno dei tre viaggiatori. Le palline di vischio prima bianche, lattiginose, scivolarono sul massiccio tra le cenge e i pinnacoli, le vette, e poi si unirono infine ai cristalli di neve, si illuminarono in mille e mille riflessi luccicanti, volteggiavano anche su gli altri canaloni della montagna, formavano grandi spirali di luce candida, risalivano e scendevano come se fossero immersi in una danza, tutto questo davanti agli occhi meravigliati dei tre personaggi. Poi, prima che tutta la montagna iniziasse a brillare, quella cascata di palline bianche di vischio figlia della stagione invernale, simbolo di magia e sacralità del Natale, lentamente, in una nuvola candida avvolse il paese, le palline luccicanti scivolarono sui tetti delle case e si poggiarono, infine, su quell’ultima casa del borgo. Fu soltanto a questo punto che i tre uomini, i re Magi, sempre più attoniti da tanta meraviglia, da questo eccezionale evento, iniziarono a discendere il borgo fino a quella casa che segnava appunto il confine con il paese. La casa dunque, adesso, è davanti ai loro occhi: illuminata, di tante e tante palline splendenti di vischio. I Magi salirono le scale, aprirono l’uscio appena socchiuso, la porta si spalancò, e videro, davanti al camino acceso, una giovane donna seduta su una seggiola con un neonato in braccio e un uomo in piedi al suo fianco. La donna, Madonna povertà, si girò lentamente, e il suo volto, guardando i re Magi, liberò un tenue sorriso. La leggenda non termina qui, poiché non sapremo mai cosa sia accaduto, quale incanto, quale prodigio, quale accadimento, quale sortilegio sia intervenuto subito dopo, ma di fatto il borgo si animò di persone che presero le poche cose che possedevano per donarle e poi uscirono dalle case, percorsero le vie, e si riunirono tutti, infine, intorno a quella casa simbolo della famiglia ritrovata e della condivisione e del “viaggio”, luogo delle identità di una memoria che si riteneva caduta nell’oblio. Quella casa del borgo dell’Appennino, che ancora oggi si può vedere, a Natale, ha ancora l’uscio socchiuso…