La “Crocetta” della città dell’Aquila. Il sentiero, la leggenda conservata dentro il convento di San Giuliano.

Testo e fotografia di Vincenzo Battista.

La grande quercia sul primo tornante, salendo lungo la via, resta il segno distintivo della zona: un sigillo, una sorta di dogana che sembra separarci dal mondo della selva posto al di là, la foresta, elemento inscindibile della vita monastica e luogo fisico, psicologico di solitudine e silenzio,  avvolgente il cono della “Crocetta”: sovrasta la città di L’Aquila e poi questuante, contemplativo, spirituale, che accoglie l’oratorio di San Giuliano incassato dentro il bosco, il convento dei Frati Minori, dove un’altra quercia, allora, ci aspettava: era nato nel 1913. ” Non sono venuto per te, ma per un tuo illustre predecessore… – gli dissi”. Sorrideva Padre Graziano Basciani, sacerdote da 67 anni, nato a San Vincenzo Valle Roveto nel 1913, metà della vita spesa “in viaggio” (a piedi percorse la cordigliera delle Ande, ci raccontava in classe), nei vari continenti, nel solco della secolare tradizione degli “Spirituali”, cioè dei frati “itineranti”, da cui emerge la figura del Beato Vincenzo dell’Aquila (1435 -1504), esponente della migliore regola francescana. “Il significato del termine Beato ancora oggi – mi raccontava padre Graziano – è di quelle persone che sono attraversate da passioni, dalla tolleranza verso gli altri, che sappiano salvare gli uomini… Forti e decisi tollerino anche le persecuzioni nel nome della carità e della salvezza, che facciano tutto a tutti, senza distinzioni di religioni…”. Quando lo incontrai era il quinto centenario della morte del Beato Vincenzo dell’Aquila 1504 – 2004. Con un intenso programma religioso e civile i frati Minori d’Abruzzo avevano celebrato nei quartieri S. Sisto, Pettino, S. Barbara e Sant’Anza lo spirito profetico del beato aquilano. Una rigidissima pratica di vita penitenziale caratterizzò la sua esistenza, costituita da digiuni, mortificazione, macerazione della carne, fatica nei viaggi questuanti, veglie notturne nella contemplazione nell’oratorio di S. Giuliano e nella selva del convento (lungo il sentiero che conduce alla cima della “Crocetta” s’incontra il piccolo oratorio a lui dedicato). Il culto e la memoria del frate sono proprio dentro questo rigido protocollo, modello esistenziale che lo ha elevato a massima figura spirituale nella costellazione dei penitenti del XV secolo tanto, che per lui, si mosse la pittura colta di Saturnino Gatti che lo rese icona della comunicazione: le gote scavate nella pietas popolare, i suoi occhi severi nella testa appena reclinata davanti al crocifisso, il saio imponente e il lapislazzuli del fondo, regale, prezioso e trascendentale che si deve ai grandi, ma soprattutto la quercia dipinta: elemento distintivo della Conca aquilana e logos del beato Vincenzo dell’Aquila. Tra le sue qualità quella di oratore, predicatore, che non temette neppure il Magistrato aquilano al quale denunciava vizi, discordie, malgoverno della città e spesso gli ricordava i diritti della persona. Un monito sempre vivo, presente, che si identifica con il suo corpo conservato incorrotto, meraviglia di “inspiegabilità scientifica” verbalizzata dall’equipe medica composta da Terenzio Ventura, Giovanni Consalvi e Augusto Mancini chiamati, dopo quasi cinquecento anni, nel 1987, nella ricognizione canonica del corpo del Beato insieme alla comunità religiosa, i ministri provinciali e il Vescovo. ” Anatomicamente perfetta, la cute conserva un aspetto del tutto normale dei pori, le sue pliche, i suoi solchi, sotto di essa, la perfettissima configurazione dei rilievi ossei e delle sue parti molli con evidenziazione dei singoli muscoli, gruppi muscolari e tendini – è scritto nella relazione”. “Corpo integro”, dichiarava il collegio dei periti, come le sue critiche al Buon governo, la città dell’Aquila, frustata in nome del “popolo minore”, sferzata come il sentiero scavato nella montagna della “Crocetta” che attraversa l’edicola sacra appunto del Beato Vincenzo, poggiata su una roccia, nascosta, ma che profuma nella leggenda popolare di timo selvatico. Qualcuno infine, nella notte del 31 dicembre passerà lì, per salire su fino alla “Crocetta”, per guardare la città, “osservarla”, ma non per quel che apparirà…

Le immagini.

Il sentiero della “Crocetta”, il piccolo oratorio lungo il sentiero del Beato Vincenzo, la pala di Saturnino Gatti, cappella e la teca del Beato Vincenzo nel convento di San Giuliano.