Testo e fotografia Vincenzo Battista.

Nina, la sua cavalla, ma molto di più, visto che le parlava, le impartiva gli ordini e poi la rassicurava, mentre l’aratro in ferro solcava il terreno trainato appunto da Nina alle pendici del totemico cumulo di pietre, in contrada ” Le macine”. La zona, così chiamata e non ci sono dubbi per il suo significato, fiancheggia ad ovest in una depressione il borgo di Santo Stefano di Sessanio, una pianura carsica che si apre a forma di cucchiaio: Piano di Presuta. Siamo intorno agli anni 1980, è lì che ci siamo trovati per una “ricerca sul campo” e poi, davanti a Nina che ci guardava, perplessa e un po’ incuriosita dalla nostra presenza. Ci dirà più tardi l’anziano contadino che guidava l’erpice, che quell’enorme macerina (tutta l’area ne è caratterizzata), e soprattutto questa a forma di piramide a cono (ne è il simbolo), costituiva il risultato di oltre 100 anni di spietramento dei campi: le pietre venivano tolte dai coloni con le ceste e i tini  dai terreni, per renderli più fertili,  trasportate sulle spalle o a dorso degli animali e accatastate in vari cumuli di pietrame che assumevano diverse forme. Le stesse terre, “lesche” il nome, su questo versante del Gran Sasso, lunghe e strette, si assottigliavano sempre più, poiché venivano cedute ai figli maschi in eredità quando  si sposavano e uscivano dal nucleo familiare di appartenenza. Oggi siamo tornati, scendiamo in trek dall’area molto più in quota delle “Condole”. Un luogo a dir poco Metafisico questo de “Le macine”, alla De Chirico, sembra un quadro e, quando ci siamo entrati dentro, ci appare in dimensione e maniera statica nello spazio o nel tempo fermi, l’assenza è celebrata, se non fosse per un cavallo bianco incurante di noi che bruca il prato. Oppure, molto più vicino negli anni, la Land Art – arte nella terra (Stati Uniti, tra il 1967 e il 1968), caratterizzata dall’intervento diretto dell’artista sul territorio naturale. Qualche esempio: Valle del Belice in Sicilia, “Cretto” di Burri; Basilica di San Francesco – Assisi, “Terzo Paradiso” di Michelangelo Pistoletto. La forma a spirale, quella forma di migliaia e migliaia di pietre messe  l’una sull’altra declina,  lambisce, rasenta l’immaginazione, accatastate senza soluzione di continuità, sembra anch’essa richiamare un concetto di opera d’arte, forse un monumento al lavoro nel Gran Sasso d’Italia di cui non siamo del tutto consapevoli, al tempo dei social… Ma la memoria del “totem”, antenato mitico, di pietra è scritta, ognuna di quelle può raccontare i passaggi epocali della comunità di Santo Stefano di Sessanio, gli sforzi antropici, l’epistolario collettivo infine in un lembo di paesaggio – narrazione, riconoscibile e, pertanto, non solo per definizione identitario, non solo locale, ma molto di più, poiché ognuno di noi può provare a misurarsi con quel valore etico…

Con noi in trek, dall’area delle “Condole” a Santo Stefano di Sessanio, Gianfranco Francazio.