L’Aquila e la memoria del Contado. I poeti a braccio.

Testo e fotografia Vincenzo Battista.

La poesia a braccio, dall’improvvisazione dei temi cavallereschi epici, alla propria vita: le vicende personali raccontate con gusto e stile senza eccedere. L’ispirazione e la visione della gente del luogo, la natura, l’amicizia, la società, la politica erano questi alcuni temi trattati in chiave spesso satirica e con un tono sarcastico sui “nemici” della comunità locale. Vere e proprie gare tra i poeti a braccio chiamate “tenzoni”, poiché si utilizzava la stessa metrica dei grandi poemi classici, cioè l’ottava rima in versi endecasillabi. Si rispondeva nella gara con l’obbligo della “ripresa”: il poeta che seguiva nella “tenzone” doveva riprendere l’ultimo verso del compagno in gara che aveva appena recitato, “concatenarsi” al verso era il principio ispiratore si diceva, per non perdere la continuità della stessa gara. Pungenti e raffinate le declamazioni, tanto che i poeti impegnati nella sfida potevano narrare “versi figurativi” contrapposti: parroco – rozzo contadino, suocera- nuora, maestro elementare- pastore, ricchezza ostentata- dignità della povertà. L’ottava rima nella sua struttura classica della poesia italiana era il faro della narrazione, costituita da otto righe endecasillabe di cui sei in rima alternata e le ultime due in rima baciata. La “tenzone” che non si poteva interrompere, questo era l’editto, poteva durare anche intere giornate con una giuria attenta a designare e proclamare il vincitore, una sorta di eroe interprete dei desideri inconfessabili della comunità locale finalmente riscattata dai poeti a braccio senza vincoli e senza censure.