Testo e fotografia Vincenzo Battista.

E appena dopo aver avviato un dialogo con i ragazzi del liceo “Cotugno” – L’Aquila sui Beni Culturali, tutela e conservazione, manutenzione e restauro mentre entriamo nelle sale del MuNDA, dedicate alla generazione dei pittori seicenteschi (e molto altro) Bedeschini, veniamo smentiti, come se ci trovassimo su “Scherzi a parte”: da una parte il tripudio e l’osanna al bello (per usare il linguaggio del barocco) nei quadri e nei disegni esposti della famiglia Bedeschini. Un inno al barocco aquilano (doveva toccare l’animo e i sentimenti della gente) e alla grande bellezza visiva ( stile dinamico e coinvolgente, animato da un fervore religioso, per quel secolo) della sontuosità dell’arte (secondo i dettami della Chiesa) ma, se voltiamo appena di un poco lo sguardo, per usare un eufemismo, nelle stesse sale del MuNDA non c ‘è che da rimanere basiti, i ragazzi restano in silenzio, da non crederci, attoniti davanti alle immagini in bianco e nero su uno schermo che scorrono: la distruzione sistemica delle opere d’arte barocche non ad opera dei Lanzichenecchi ( attenzione anche se parliamo degli stucchi decorativi seicenteschi) dalla Basilica di Collemaggio. Tutto allora accadde negli anni ’70 del Novecento. Ma riavvolgiamo per un attimo il nastro, poi ci ritorneremo su questo, ripartiamo dai Bedeschini e la loro presenza a L’Aquila e l’enorme produzione soprattutto teorica nei cartoni e fogli disegnati e abbozzati in varie tecniche, propedeutici a realizzazione di opere fattuali, in molti casi incompiute. Nella esposizione i disegni preparatori documentano la progettazione delle spazialità nei personaggi sacri raffigurati, in definitiva il cardine del lavoro, una visione che termina poi nella pittura, scultura e architettura, oltre agli oggetti da arredo. La Famiglia Bedeschini, una sorta di Bauhaus ante litteram, poiché tutto quello che loro disegnano si dispiega a ventaglio, entra nelle variegate e molteplici applicazioni: allestimenti teatrali, mobili, oreficeria, abbigliamento, strumenti musicali: tutto comunque è dentro gli schizzi, bozzetti, ritagli di fogli cioè appunti visivi: un database. Un atelier delle idee i Bedeschini, un laboratorio di grafica subliminale del periodo Barocco, tanto che i personaggi disegnati sui fogli vengono ritagliati per poi riposizionarli, scontornati e accostati tra loro, mossi sui fogli per definire al meglio proporzioni, equilibrio, spazialità. Potrebbe sembrare un gioco, un puzzle, una “Battaglia navale”, ma tutto è ricondotto agli equilibri visivi dei personaggi raffigurati, poiché attenzione, in questa fase è il disegno, poi ci sarà l’ingrandimento dello stesso e infine si passerà alla pittura. Stessa cosa i disegni per le architetture, i fregi decorativi, i monumenti. Nell’esposizione emerge l’acquerello – guazzo, lo chiameremo così, che desta grande attenzione eseguito con sottili pennelli e stilo, toni su bruni che assumono diverse gradualità, gamma di velature nel tratto rapido, sicuro e inoltre non c’è errore nella esecuzione, non c’è incertezza, ripensamento, sbagli che andrebbero a scapito dell’intera composizione, poiché questa tecnica non perdona. È sorprendete mostrare questi elaborati ai ragazzi del liceo e commentarli. I personaggi sembrano muoversi, hanno plasticità, profondità e prospettiva in una grande maestria delle composizioni, geniale la serenità delle scene disegnate auliche e dense di phatos. Torniamo alle immagini in bianco e nero che scorrono, degli anni ’70. Con la decapitazione del barocco aquilano nella Cattedrale di Collemaggio, disegnato dai Bedeschini nei fogli preparatori, quasi nulla si è salvato: i putti, le decorazioni a festoni e cornucopie, gli elementi floreali, geometrici, le volute e i fiori, i capitelli e molto altro. Guardiamo attoniti con i ragazzi le immagini in bianco e nero che scorrono, c’è silenzio e incredulità su come non si sia provveduto a salvare almeno le sculture a tutto tondo che partono come detto dai disegni di Bedeschini, realizzati prima in argilla dalle maestranze lombarde perlopiù seguendo gli stessi disegni e infine rivestite in stucco con un telaio interno che le sorreggesse prima di applicarle nella sommità della Basilica di Collemaggio. Un lavoro quindi complesso che univa arte e artigianato. Le immagini scorrono, in pezzi precipitati gli stucchi frantumati e demoliti, sul pavimento spaccati e divelti le teste di due putti che si guardano: sarà mai questa la memoria della città di Celestino V, la provenienza e la sintesi incancellabile dei Beni culturali?