L’Aquila. La veglia nella “Piazza” della Fontana 99 Cannelle.

La pupazza dell’incanto e delle meraviglie che aspetta…

Testo e fotografia Vincenzo Battista.

Il trapezio, il disegno, la pianta geometrica della fontana delle 99 Cannelle. Spaziale e anomalo nel suo “ricercato” vuoto volumetrico; presidio arcano nella sua bellezza prima mentale e poi formale sulle mura di difesa della città, incomprensibile coreografia di acqua e pietra dettata da un Genius loci: quasi fosse un’orchestra di un teatro greco dove gli attori si esibivano, ma viceversa è uno spazio chiuso, una cassa armonica delle acque dai toni che si alzano e si abbassano
(una musica mai scritta) e gli spettatori che non ci sono,anzi, forse sono i mascheroni medioevali in pietra, apotropaici e cruenti, severi e vigili, sigillati dentro le chiome, copricapi, elmi ma osservatori di un dramma mai interrotto, come appunto in una tragedia greca che poteva durare anche giorni senza soluzione di continuità in un teatro.

I mascheroni, quindi, trasfigurati in una metamorfosi (uomini – animali di un bestiario medioevale) da leggenda occulta, che sembra compiersi adesso nell’antico contado di Aquila, la loro stirpe, la loro fissità inesplorabile di lunga memoria, in quei volti scarni e inquietanti, presagio di eventi, premonitori, risalgono dalle viscere della storia e immutabili guardano da secoli lo spazio – trapezio, sì, tutti gli occhi dei mascheroni che si riuniscono in un punto centrale (e lì, la quota più bassa della città nova di Aquila dentro la capsula delle mura) e, come se fossimo in un incantesimo, in questa notte di plenilunio che racconta la leggenda mai estinta delle acque dell’Aterno dialoganti con le 99 Cannelle, i mascheroni osservano la pupazza, oggetto extraterrestre, comparsa, inspiegabilmente, lì, come il monolite di metallo apparso improvvisamente nel film “ 2001 odissea nello spazio”: feto stellare, razza aliena, input esoterico e attorno i primati che toccano il monotile attratti, ma ne hanno paura.

Lì, invece, “alle 99 Cannelle” la pupazza, tutta la notte “vigilata speciale”, la sua veglia di un tempo antico, precipitata chi sa da dove ha squarciato, deformato il tempo e lo spazio, ma vicina, molto vicina, torna nella piazza d’acqua e del possesso a cui appartiene: il “popolo minore” dai panni da lavare al mercato nella piazza della città (se potessero parlarci quelle molecole d’acqua nel suo primitivo utilizzo); dalla lana e il commercio dei “fogliaroli” delle terre irrigue; dalle arti minori all’artigianato delle corporazioni, il lavoro in definitiva di cultura materiale della “gente bassa” a cui la pupazza si rivolge…. Ancora adesso. La pupazza. Si volge, guarda, individua il suo campo di azione, certamente goffa, la pupazza, ma è quello il suo “incanto” nella conica struttura di canne e cartapesta con dentro una persona, animata la pupazza – fantoccio, prende il sopravvento, impossibile fermarla dall’esterno: non si può, è il suo protocollo mediatico da feticcio che incarna, certo lontano, lontanissimo nel suo tempo arcano nell’abisso della preistoria è forse la trasfigurazione della Venere di Willendorf : statuetta calcarea divinatoria, donna del paleolitico dai poteri magici, 30.000 anni fa, corpulenta dalla forte identità e al di sopra gli elementi naturali, ipertrofica nelle fattezze dirompenti: carni, pancia, seno, sedere abbondanti ma, lei, è madre della terra, l’inizio della fecondità e della specie, poggiata in qualche ansa della grotta per venerarla e consacrarla e intorno la guerra, vinta grazie a lei, degli uomini contro gli animali, nei dipinti, policromi, delle volte preistoriche.

E’ la stessa magia, propiziatoria, che aspettiamo nella veglia, adesso, attraverso gli spiriti scesi nel corpo della pupazza “alle 99 cannelle”, che decretano il dominio della donna mito di cartapesta che danza sì, si inchina, certo vogliosa, ammicca e seduce, avvicina, corteggia, adula, blandisce ma anche si ritira timida sembra, per poi infervorarsi e accalorarsi di fuochi pirotecnici, esplode tutto il suo temperamento risoluto, il suo carattere, perché no, volitivo, con la folla enigmatica che la scruta, festante sempre di più in quel parco delle meraviglie luccicanti e vaporose degli scoppi e petardi che illuminano a tratti, con i riflessi della luce sui volti dei mascheroni, in quel cerchio antropico intorno a lei, la gente, sedotta, non ha più motivo di comprendere che cosa accada, poiché loro e la pupazza sono tutt’uno in una sorta di rito della fertilità, della primavera, pagano. Goffa imitatrice. Ingenua icona la pupazza, dinamica forma corpulenta del seno prorompente, dall’enorme pancia e dal grande sedere, al suo passare si ritraggono gli uomini. Mai immobile, il suo destino. La piazza dell’acqua delle 99 Cannelle: cabalistica, enigmatica e la pupazza con i colori smaglianti, vivaci e accattivanti, lentamente si alza, prende il volo, si libbra come nella pittura di Marc Chagall (pittore onirico delle leggende nei villaggi della Russia e surrealista del ‘900) che nello sconfinato paesaggio dei tetti fa fluttuare la donna nei sogni, così la pupazza scivola silenziosa sopra la città e i borghi del contado, sulle torri, le case e le mura alla ricerca di una piazza su cui si poggerà di nuovo.

La pupazza è conservata ed esposta all’ingresso del ristorante “Le Origini” – L’Aquila.