L’Aquila. L’opera d’arte che certifica il paesaggio aquilano. Accade, adesso.

Testo e fotografia Vincenzo Battista.

Le fotografie precedenti ai Dcpm emergenza Coronavirus.

Il cane li guarda ( un segugio, amato dai cacciatori nel Rinascimento), addirittura siede per concentrarsi, enigmatico gira la testa e li osserva in quell’insolito gesto che compiono, inconsueto per i due uomini in ginocchio quasi fossero davanti a qualcosa che li ha sorpresi, turbati… Sono in definitiva due pastori, addetti a tutt’altro nei pascoli, ma in ginocchio ora con le mani giunte in atto di ossequio, con la capigliatura abbondante il primo step, il colore dei capelli biondo, il volto elegante e raffinato il secondo step, elevati al rango di nobiltà, alla maniera della Chanson de Roland delle miniature d’oltralpe, nella loro sospensione plastica quasi curtense il terzo; il bastone diligentemente ripiegato tra le braccia s’inclina sulle spalle di ciascuno e poggia, “ con classe”, sui corpi avvolti da un indumento abbondante, che ricorda il saio di lana grezza rammendata e sfrangiata ai bordi di un San Francesco giottesco.

Il segugio guarda tutto questo, non sapremo mai del suo stupore… Ma lo scopriremo in questa micro – narrazione nei vari passi. Più avanti. Ci spostiamo, ma di poco, lo sguardo ora si poggia su una tettoia coperta di felce (per far scorrere l’acqua piovana) e le travi lavorate che la sorreggono, infisse nel terreno. Un’imponente copertura questa è, sotto, una “secchia” (così è chiamata da queste parti) in legno per raccogliere il latte della mungitura degli ovini negli stazzi, e i cerchi di faggio scortecciato per dare forma alla massa del formaggio, manipolarlo e comprimerlo per la successiva essiccazione: un altro step. Ma quando “usciamo” da questi particolari e dettagli visuali e “ingrandiamo”, ecco che l’opera d’arte “Trittico di Beffi”. Sec. XIV (fine) – Sec. XV (inizi) – Madonna con Bambino in trono e angeli, Natività di Gesù, Funerali della Madonna, Incoronazione di Maria Vergine, tempera su tavola, autore anonimo secondo gli storici Zeri, Bologna, Strinati e Carli ( è dello sportello di sinistra la lettura su citata dei pastori), museo Munda – L’Aquila, ci appare nella sua possente narrazione, episodi e flashback che si rincorrono, da leggere come un romanzo con il fiato sospeso alla ricerca dell’epilogo, poiché l’icona è una delle più celebrate per la qualità delle lavorazioni non solo pittoriche. Grande raffinatezza ed eleganza: dalla vita quotidiana divenuta desueta, squarciata nelle consuetudini (lo abbiamo visto sempre con i due pastori) quasi d’incanto e meraviglia di quegli uomini nel pascolo sulla “Via degli Abruzzi” del contado.

Una loro quotidianità osservata con gli oggetti d’uso autoctoni, l’accampamento reale e la cultura d’appartenenza, si trovano pertanto davanti alla presenza religiosa suprema protettrice – la Madonna con il Bambino – che convive e certifica, infine, nell’opera d’arte le genti, i borghi e il paesaggio. Una lezione della “narrazione”, vista, all’esordio del primo Rinascimento con Masaccio, Gentile da Fabriano e il Ghiberti. Ma torniamo a quei due pastori dell’aquilano così dipinti nel “Trittico di Beffi” secoli e secoli fa. Accade adesso, quasi ci fosse un rimbalzo atemporale, che le radici cristiane e del lavoro della pastorizia, e lo capiremo, sono qui da qualche parte e, noi, siamo andati a trovarle nella prima periferia dell’Aquila, frazione di Bagno, nell’azienda dell’allevatore Francesco Santarelli. E’ al lavoro, prepara il formaggio. Sul tavolo i cerchi di faggio ( hanno più di 70 anni) per dare forma al formaggio, le “fruscelle” sempre di faggio per la stagionatura, lo “spino” nient’altro che un tronco di ciliegio ( lo usava il nonno) con piccoli assi laterali: rompe la cagliata nel caldaio, dopo che il latte è stato portato a 36 gradi per la coagulazione, si solidifica , riposa con il caglio per circa 30 minuti ( interiora dell’agnello, lo stomaco) già messo dentro in precedenza. E poi lo “spino”, il momento, la sospensione del tempo… in quel gesto particolare che compie dentro il caldaio: il segno di croce, più volte lo ripete Francesco (così facevano i suoi antenati), lo vediamo, disegnato dentro il contenitore del latte, prima di rompere la cagliata, la benedizione per le fasi successive, nient’altro che protezione, tutela, una sorta di ufficio sacro dentro il lavoro di cultura materiale, per la preparazione del formaggio che ci riporta dritti al Trittico di Beffi, alle radici cristiane, all’opera d’arte, ai pastori. Rotta la cagliata, si prepara per il “primo sale”. Leggermente si riscalda poi per il formaggio di pecora che viene lavorato e prende forma nei cerchi di faggio e nelle “fruscelle” per essere salato e stagionato infine nella continuità del racconto storico, le nostre radici, mai interrotto nella Conca Aquilana. Accade, adesso…

Le immagini.

I particolari della tempera “Trittico di Beffi”.

Francesco Santarelli prepara il formaggio nella sua azienda a Bagno, frazione dell’Aquila.

L’allestimento minimalista del Museo nazionale D’Abruzzo del “Trittico di Beffi” in una delle sale del Castello Cinquecentesco – L’Aquila.