Verso l’eremo di San Onofrio del Morrone.

Testo e fotografie di Vincenzo Battista.

 

Come non pensare al film “La Compagnia dell’Anello”, mi domando, ma non lo dirò a nessuno, mentre saliamo, sul sentiero dell’eremo diSant’Onofrio nella Conca Peligna ( 651 m.) con la “Compagnia”, attratti, forse, come nel film che racconta “il bene e il male”, della montagna che va conquistata, ma del Morrone, e dal sito celestiniano per eccellenza che raggiungeremo, più tardi : quattro sorelle di San Basilio, le Celestine, di cui una, suor Assunta settantenne, capo missione del Monastero di San Pietro Celestino di Banguj ( Repubblica Centrafricana) da 25 anni, in Africa, tornata per un breve periodo a L’Aquila; un grafico, uno studioso locale di Bagnaturo, un giornalista ed io, che continuo a ripetere a suor Assunta di aspettarci ( non sapremo mai che cosa le ha preso). dentro i 37 gradi che avvolgono la montagna, le rocce, la polvere e le loro tonache sbattute dallo scirocco che non dà tregua e il sentiero che nasconde e svela, dalle falesie a picco, l’edificio incollato sulla parete a strapiombo con la grotta di Celestino V, e ancora le grandi croci scolpite sulla roccia che ricordano la morte degli eremiti del secolo scorso. Saliamo, mentre il paesaggio della conca Peligna si allarga, dentro la mulattiera che sembra frustare la montagna e sulle pareti le nicchie scavate e i segni lasciati dai pellegrinaggi indicano che siamo vicini, molto vicini al luogo simbolo di una storia comune e a questo “ritorno”, potremmo chiamarlo così, alla casa del Padre da parte delle celestine, quasi stremate dal caldo in una sorta di pellegrinaggio all’antica, come scriveva Ignazio Silone che visitò l’eremo nel 1971 : il “sacrario”, così lo chiamò. Dall’oscurità della grotta di Celestino V le suore entrano, mentre osservo le tonache bianche e nere appena percepite dal fondo della cavità fino a svanire, in un immagine surreale, nella “cella” dell’eremita del Morrone.

Ci avviciniamo sul fondo, è appena illuminato, ‘il letto’ di roccia, lisciata, levigata: un rialzo in pietra che è ‘l’impronta dell’eremita’. Usciamo, ma loro rimarranno per molto tempo. Lì le persone si stendono nei pellegrinaggi come vuole il rito che si consuma, pregano, si bagnano con“l’acqua che guarisce, libera ogni male”, che scola dalla roccia in un bacino in pietra naturale: il sogno curativo contro ogni angoscia, contro le paure e l’ignoto, “assorbe l’energia latente e miracolosa” scriveva Giovanni Pansaall’inizio del Novecento della grotta dove fra’ Pietro viveva. Racconta un suo discepolo, Bartolomeo da Trasacco, siamo intorno al 1248 secondo alcune fonti, che egli “sudava intorno alle arti liberali e meccaniche”, rattoppando vesti consunte sue e dei suoi fratelli. Lavorava con le proprie mani, scrivendo e cucendo cilici. Faceva mille genuflessioni al giorno“perché ignoranza e ozio non vi entrassero e per allontanare qualunque cosa di inquietudine e di tentazione . . .”
Utilizzava una catena “come una cinghia che gli cinge i fianchi per reprimere gli ardori della carne”. Per sei quaresime non mangiava carne e fino a quando la luna non terminava il suo ciclo si asteneva dai ceci, dalle“fave rinfrescate dall’acqua corrente”, dalle rape tenere e crude, e da altri legumi. Fede spinta verso le più aspre pratiche ascetiche per il corpo che doveva essere umiliato. Schivo dell’ambizione e della ricchezza, nella pratica della solitudine nella spelonca, come altri, lungo gli Appennini: San Franco di Assergi, Santa Colomba sul Gran Sasso, l’eremo di San Nicola di Isola del Gran Sasso, l’eremo del beato Placido di Ocre, l’eremo di Capitignano, San Venanzio, gli eremi dei cinque fratelli nella conca Peligna, San Domenico a Villalago, San Michele Arcangelo presso Balsorano e tanti altri.
Dentro l’edificio di Sant’Onofrio, che sembra poggiato sulla grotta, entriamo tra ex voto, le suore toccano gli oggetti sacri, donazioni, sculture e quadri che ricordano costantemente il luogo consacrato alla memoria dell’eremita e infine i diari dei visitatori: “19 maggio 1969, festa di San Pietro Celestino – è scritto in uno dei sei quaderni che si conservano – Pietro dal Morrone, perché è stato un santo e un Papa coraggioso. Di coraggio oggi, come ai suoi tempi, ne abbiamo bisogno . . .”.

Le celestine : dalla missione in Africa che le sorelle di San Basilio aiutano con le offerte degli aquilani e alcune iniziative, fino all’eremo di Celestino V . Dall’Africa delle lotte tribali e i continui colpi di stato, le celestine sono lì, con le madri, sotto i porticati del monastero, inseguite dalle guerre di religione, dalle prevaricazioni e dai genocidi, e aspettano, per giorni, di essere curate insieme ai loro bambini dalle ferite e dalla denutrizione. Ma lo spirito della Missione, il luogo più avanzato senza alibi e compromessi di chi ha scelto quella vita, lo sguardo, le attese, è rivolto oltre loro, oltre la loro fragile personale vita, a qualcosa che non riusciamo a percepire penso, guardo le mani di suor Assunta piagate dal lavoro e dalla fatica in Africa mentre si appoggia ad un bastone, lungo il sentiero, scendendo dall’eremo di Celestino V che lei ha voluto fortemente vedere. Non le chiederemo altro.

 

 

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