L’olio che guarisce nelle plaghe montuose del Gran Sasso d’Italia.

Testo e fotografia di Vincenzo Battista.

Il luogo. D’oremus S.t Hamtramch. U.S.A. Il destinatario. “Sig. parroco, per ricordo io sono di S. Stefano di Sessanio e stavo a Carapelle con mia zia per imparare il mestiere con il nipote del signor Michele: San Pancrazio è un giorno ricordevole. Avrei piacere di far dire una messa, ma le messe hanno prezzi diversi. Se credi mandami i prezzi. Se vuoi a destra della chiesa di san pancrazio, a quella piccola costa, anche il sacrestano può andare a prendere una pietra, un centimetro grande. La pietra si polverizza dentro un mortale usato per il sale. Si prende un cucchiaio di polenta, si mescola con la polvere di quella pietra. Si prende un’ostia, al centro si mette un po’ di mescolato. Poi si mette un’altra ostia sopra. Fanne due e mandale dentro una lettera regolare”. La “piccola costa”, la plagia San Pancratis o la selva del santo e degli uliveti, scende fino alla valle del Tirino. Sul rilievo sorge il santuario dedicato al martire quattordicenne, decapitato sulla via Aurelia, intorno al 294, e ricordato nell’edificio religioso che rappresenta anche l’epicentro del culto “dove nasce l’olio del santo”. Una vasta area che va da Capestrano a Castel del Monte; da Calascio a San Pio delle camere solennizzata dalle compagnie di pellegrini che un tempo giungevano nel santuario per trascorrere la notte dell’11 maggio e “prepararsi” alla ricorrenza di San Pancrazio, il giorno dopo. Procedevano in ginocchio, dal portale fino all’altare e partecipavano, nella veglia, sdraiati sul pavimento della chiesa, ai vari riti apotropaici; erano arrivati lì, malati e deformi per le unzioni rituali, per sottoporsi alla magia del santo, che sulla via di Carapelle Calvisio riuniva i pellegrini in viaggio verso il santuario. Avevano percorso molti chilometri a piedi per ricevere l’olio taumaturgico, che affiora da una pietra rettangolare del pavimento, dietro l’altare, da una cavità che non asciuga mai, racconta la tradizione popolare. Con i batuffoli di ovatta, l’olio, ancora oggi, viene imbevuto e strofinato sulle parti malate del corpo, conservato o spedito agli emigrati all’estero, nelle comunità dei carapellesi che vivono a Toronto, in Canada. Il secolo scorso questi realizzarono un ex voto, un quadro con l’effige del giovane martire che si conserva nel santuario. Infine, dopo la funzione religiosa, vengono distribuite le ferratelle che proteggono la persona, affermano, che partecipa al rito collettivo in onore del santo. Sul colle di San Pancrazio – narra la tradizione orale – vi è una chiesa antica e in una stanza abitava l’eremita che la gente riforniva di alimenti. Nel santuario, sulle pareti, appesi gli ex voto: vestiti di bambini e oggetti di persone che avevano ricevuto la grazia e i miracoli dal santo. Si andava al santuario sempre in processione, il 12 maggio, portando la statua del santo e gli stendardi. Queste processioni erano vere e propri pellegrinaggi, alcuni andavano scalzi, altri in ginocchio gli ultimi tratti. Dietro l’altare della chiesa, dentro una cavità di una pietra, “nasce” dunque l’olio di San Pancrazio, che i fedeli prendono per ungersi le parti malate del corpo, dentro questo tempo avvolto, incantato, parallelo…