Quel patto tra Colle Verrico e Amatrice. Il miele dell’eternità (seconda parte).

Testo e fotografia Vincenzo Battista.

 Prima, molto tempo prima.

24 agosto 2016, ora 3,36. Amatrice, il terremoto del Centro Italia. Ma loro si trovano a Colle Verrico – frazione di Montereale, Alto Aterno, quasi ai confini con il Lazio.  Poche famiglie, poche case, ma gravi danni agli edifici con l’onda sismica. I fratelli Novelli sistemano le famiglie, le mettono al sicuro e partono per Amatrice. È ancora notte, insieme a pochi, inizialmente, camminano tra le macerie dei tetti delle case sprofondate, sì proprio così, su una spianata fumante di polveri sottili, un silenzio metafisico e qualche urla e, l’unico riferimento, la torre del borgo di Amatrice dove si dirigono: un simulacro dolente vestito di nero, è ancora lì. Cercano Eugenio e la famiglia nella casa con il negozio di apicoltura e prodotti a base di miele sotto la torre civica. Verranno estratti molte ore dopo, non c’è niente da dire. Vanda, 80 anni di Rocchetta, una della 69 frazione di Amatrice, ha perso il figlio Eugenio e la sua famiglia sotto quella torre.

 6 agosto 2020. Il patto.

Ci aspetta Vanda, nella frazione di Rocchetta, che sembra campagna arata arsa dal sole, ma prima era un borgo con il suo asse centrale e le case di arenaria, i vasi alle finestre, i giardini e la fontana, la gente seduta fuori dagli usci. E’ lì il laboratorio di apicoltura di Eugenio, rimasto in piedi, fermo a quella data, con dentro attrezzature per lavorare il miele, prodotti, fotografie di fiere, Idromele, grappa di miele, miele con i frutti secchi, polline secco, pappa reale, propoli, bevande energetiche a base di miele, propoli e pappa reale, convegni e premi ricevuti: “Il miele dei Monti della Laga”, così recita il suo logo dove tutto è fermo da quella notte. Dopo il sisma sembrava che andasse in disfacimento anche la piccola azienda di Eugenio, costruita negli anni con macchinari come la centrifuga, il tavolo disopercolatore, maturatori, melari telai, arnie, protocolli e metodi di lavoro non solo con il miele prodotto finale. Il patto con Vanda, l’anziana madre. Per dare continuità alla piccola azienda in un modo inconsueto, viene stabilito una sorta di patto con i fratelli Alessandro e Giacomo Novelli di Colle Verrico (sono anche apicoltori), insieme a Angelo Maggi, Benedetto Guerrini e Massimo Marcucci, altri due tra la conca di Montereale e il Lazio: producono il miele, allevano e curano le api. Delle 130 arnie di Eugenio, ne restarono 23, ma da restaurare, bonificare e sanificare. Le casette vennero portate a Colle Verrico insieme alle api che, sappiamo, tornano la sera a “casa”, nelle arnie, per uscire la mattina. Le portarono chiudendo gli accessi e anche le feritoie, si trasportarono oltre i tre chilometri ma sono molti di più per Colle Verrico (altrimenti ritornano, nella statistica nel luogo di provenienza). Si stimò, allora, la loro trasmigrazione in circa due milioni di api, l’impollinazione poi nei monti di Colle Verrico arricchirono il territorio, fiori e specie arboree, silenziosamente con l’impollinazione, ma anche la qualità alimentare degli orti nelle piantagioni. Aperte le arnie, c’è una vera esplosione, le api cercano acqua , nettare e polline: una nube enorme, si stabilizzano come un motore di ricerca, poi mappano le piste di volo, vere e proprie rotte e tra loro interagiscono sui fiori: le esploratrici cercano, danzano nelle direzioni secondo il loro principio, l’etologia nella danza a forma di otto( l’austriaco Karl von Frisch fu uno dei primi a interpretare il significato della danza dell’ape), nelle direttrici dei fiori per poi, infine, “chiudere il mandato”, la “pratica aperta”, con le bottinatrici: linguaggi, intese, accordi tra loro, forse sentimenti subliminali ma non lo sapremo mai, per adesso. È sufficiente per le api un giorno per entrare nei ritmi e nell’ordine di volo dopo la trasmigrazione, non più sciami irrazionale, ma metodologia sistemica, topografia del paesaggio conosciuto, tutto si acquieta e infine il “verso”, l’orientamento perché no: Sud – Sud – Ovest, in uscita per le api e per gli dei protettori dell’Olimpo che le osservavano, le custodivano e alzavano aree in loro onore… Ma torniamo al patto. “Noi – dicono i quattro degli alveari di Colle Verrico – curiamo le api, e due uniche volte l’anno con un furgone portiamo i melari a Rocchetta per la smielatura, da Vanda”. Consiste nel raschiare la cera dei telai superficiale, e all’interno i favi che contengono il miele. Lì si lavorano dopo tante ore, il miele viene centrifugato, filtrato e deposto nei maturatori per una breve conservazione. Ma tutto questo impegno è il “patto”, la memoria di Eugenio e la sua famiglia, più che un atto simbolico, più di un silenzioso omaggio la restituzione del miele a Vanda che lega famiglie e ambiti geografici mai stati così vicini.

Le Immagini.

Colle Verrico, la frazione di Rocchetta, Amatrice e la smielatura del miele.