La metamorfosi dei veli e la rinascita.

sabato 30 marzo 2013 06:32

i Vincenzo Battista

Adesso sì che sembra un tempio dedicato alla dea Vesta, come vuole la tradizione di questo luogo, posto all’incrocio tra la strada Subequana e la Aufinate, isolata un tempo dal centro urbano ma ora riassorbita dalle case della Villa Cavantoni; dentro questo buio la chiesa è illuminata dai falò che proiettano le ombre delle persone sulla facciata, come anime antiche, invocate nei riti della tradizione romana, che tornano.

Le persone entrano a quest’ora di notte fonda, si stipano, per “Il Gloria”, il momento culmine della messa con la sua “macchina”, fatta di uomini e corde, luci abbaglianti improvvise, veli segreti che si aprono e scendono; tiranti che si flettono; putti che si muovono lungo la navata della chiesa verso l’altare maggiore fino ai piedi della statua in un sincretismo provato e riprovato; suoni e cori che si alzano; sospiri, lunghi sospiri della folla assiepata che guarda in alto e ammira lo “spettacolo divino”, miracoloso, esclusivo.

Lei, la “Madonna Roscia” così chiamata, è la protagonista: statua delle lacrime, del dolore e delle meraviglie. In tanti sono giunti qui dalle ville per guardare la sua metamorfosi dei veli, la sua “rinascita” in questo luogo antico di San Demetrio né Vestini, aggregato di sette ville, forse dal greco Demeter, o Gea Meter, Cerere, probabilmente, del pago romano di Senitium situato ai bordi del lago Sinizzo, che dalle viscere della terra diresse gli uomini e i loro desideri, fino a diventare nella continuità del mito che risale le superfici, in epoche più recenti, la “Madonna Roscia”: simboleggia la Pasqua e l’evento della Resurrezione con il suo velo nero, il suo segreto nascosto nella vestizione, la preparazione del suo manto che è buon auspicio, rilevazione, devozione antica, tramandata.

Prima mi ricordo Turco Luigi, con il figlio, nel 1935; dopo fu la volta della Congregazione dell’Addolorata e poi io, dal 1949, ogni anno, il Sabato santo; abbiamo imparato il sistema“, ci dicevaDomenico Liberatore con il suo assistente Alessandro Taddei, pronto a continuare. Da circa due ore compiono il rito, “vestono” la statua: sulla seta celeste della Madonna la veste rossa in raso e infine il manto nero con la pettina, la corona d’argento, gli orecchini offerti da qualcuno per devozione.

Durante la messa – continuava Domenico – al “Gloria”, quando Gesù risorge, la Madonna vestita di nero non è più in lutto, cambia e diventa rossa. Tutto avviene insieme: si accendono le luci, gli angeli camminano tirati sulla corda legata al coro, dal fondo delle chiesa, fino all’altare maggiore, diretti verso la Madonna. Io sono dietro l’altare e taglio le cordicelle con una forbice per far scendere il velo nero della statua che diventa rossa. Si è fatto sempre così. Siamo circa dieci persone che girano intorno a questa preparazione. Nella mano, la Madonna porta un fazzoletto, per la devozione sua; lo porta per asciugare le lacrime del dolore con il manto nero, ma poi lo usa per asciugare le lacrime della contentezza del manto rosso“, che resterà così, nutrito e allevato dalle mormorazioni e i commenti, fino agli ultimi bagliori dei fuochi, che insieme a quest’alba macchiata di rosa come tante mani, si spegneranno.