L’emporio degli effetti speciali del Gran Sasso. Le miniature della cultura popolare.

Testo e fotografia di Vincenzo Battista.

Un ragazzo di Filetto, Franco, “un fior di figlio”, diciotto anni, alto, biondo, “sembrava un americano”; poi lo riportarono, morto, piegato sulla groppa di un asino, e per “quanto era grande” le gambe e i piedi “battevano per terra”, toccavano il suolo. Lo avevano scambiato per un inglese, fu ucciso dai tedeschi a monte Ruzza: era il 1943, quando una bambina lo vide passare davanti la sua casa, in piazza delle Cesa o delle Aie, mi dice oggi Rita, allora tredicenne e testimone di un posto, Filetto, dove la case e i luoghi sembrano segnati per sempre, e non possiamo far altro che iniziare da lì qualsiasi racconto sul passato: descrivere la tragedia, come se fosse accaduta ieri, i destini, il dramma, di diciassette uomini di Filetto trucidati dai nazisti un anno dopo. Torna con angoscia, il “lamento”, la memoria collettiva e il suo straordinario dispositivo di ricostruzione, penso tra me, mentre in piazza della Cesa, davanti ai pochi gradini di una casa, insieme alla madre Rita, aspetto Giuseppe Scarsella, dipendente statale a L’Aquila ma, soprattutto, uno che la memoria del paesaggio e delle sue cose l’ha spinto verso risultati sorprendenti, che ci mostrerà, messa in standby, dentro questo “emporio” dagli effetti speciali che ci apre, stipato come il paese alle pendici del Gran Sasso. Le miniature della cultura popolare, la sua produzione. Ridotte nelle dimensioni, conosciute e vissute, non esiste altra spiegazione, in una linea interpretativa talmente raffinata gli oggetti, le case, i manufatti realizzati da Scarsella si pongono in un approccio di tipo quasi socio-antropologico, considerato la realistica e corretta forma scientifica di ricostruzione della cultura materiale nelle sue numerose articolazioni, fino ad esplodere con l’architettura minore. “All’appacino”, a nord, dentro il borgo, la neve ristagna per molto tempo e poi si sporca – mi dice Scarsella – con l’acqua che scende dalle gronde. Le pozze, inoltre, diventano lastre di ghiaccio, biancastre”. Ci tiene a precisarlo.” Si formano due tipi di pozze ghiacciate, dentro i paesi, con diverse cromature…”. E bisogna saperle ricostruire. E poi le pareti degli edifici, il riuso del materiale, il colore del tempo, le pietre degli stipiti tagliate e riadattate per i gradini delle scalinate delle vecchie case rurali. Un’architettura povera, quella contadina, che riutilizzava in parte, quando poteva, l’edilizia colta dei portali e dei conci in pietra. Infine i materiali: argilla, polistirolo, depron trattato, legno ed altri di recupero; gesso e colla per fare gli ossidi e per stendere le patine, il das per i prosciutti o formaggi, ma poi bisogna stagionarli… ” L’effetto del grasso si ottiene con il borotalco – mi dice – acqua, il colore scelto, e si lavora con le mani”. Oppure bisogna riprodurre l’effetto del mosto, quando fermenta ed esce dalle botti: una sorta di grasso dell’uva che si costruisce sempre con gli ossidi e infine va dipinto, mentre i mattoncini, i coppi, le pietre, le pianelle in terracotta si modellano con il das e una gamma di colori. E infine parla del nonno, Giuseppe Scarsella, classe 1886.” Aveva la bottega dove oggi lavoro io”. Una famiglia nobile, devota, gli commissionò il dipinto di una Madonna in una nicchia. Ad Aragno ha restaurato un organo antico poiché  aveva frequentato la scuola di Arte e Mestieri fondata da Teofilo Patini, all’Aquila. Era orfano. Nella chiesa ha ideato la balaustra in legno, lavorata al tornio. Ha costruito anche le bare per i ragazzi morti il 7 giugno 1944,” ma non tutte”, perchè i tedeschi gli avevano bruciato la bottega insieme alla metà delle case di Filetto, ” per chi sa leggere… – scrive Don Demetrio Gianfrancesco – frammenti di verità, che non si perderanno mai”.

 

Alcune delle miniature di Giuseppe Scarsella, costruite in pochi centimetri, che rappresentano la forgia, l’incudine, il banco di lavoro del falegname e del fabbro, con gli utensili e gli arnesi intagliati minuziosamente, anche con le patine del tempo.