Testo e fotografia Vincenzo Battista.

Nelle immagini il borgo di Secinaro.

Il commercio che si praticava nelle valle Subequana fino al secondo dopoguerra. Con il taglio della legna dai boschi del Sirente, e il successivo trasporto con gli animali nelle piazzole, si preparavano i coni delle carbonaie. Alla manodopera locale si univano le “compagnie” provenienti dai centri di Lucoli e Tornimparte. Il carbone vegetale prodotto veniva chiamato “cannellino”. I sacchi con il carbone prendevano la direzione dei mercati di L’Aquila, Sulmona, Chieti, Pescara, Teramo fino ad Ancona, sempre con trasporto animale. I tronchetti di legno di faggio tagliati di boschi di Secinaro e della fascia boschiva del Sirente venivano impiegati per la costruzione di arche in legno, casse, credenze. Con il baratto nella valle Subequana il ruolo geografico di Secinaro e del suo comprensorio boschivo assume sempre più valore in relazione allo scambio di beni e prodotti della cultura materiale. Con il baratto appunto nella valle Subequana si scambiavano verdure, frutta, prodotti dell’orto, peperoni, pomodori, coltivati lungo le sponde del fiume Aterno. Si scambiavano con legna, frasche, tronchi di faggio, cerro, quercia per costruire aratri, forche, rastrelli, ventilabri a denti e a pala. Nelle fiere della valle gli oggetti d’uso per l’agricoltura trovavano il loro commercio. Poi le botteghe artigiane realizzavano sponde dei basti, barde, manici e attrezzi agricoli, canestri, cesti, cestini con il vimini di salice della stessa corteccia. Le caie, usate per il trasporto dei covoni di grano dai terreni agricoli dopo la trebbiatura. Inoltre, nella valle Subequana, si accendevano le calcaie, impianti a fuoco per la produzione di calce: strutture in pietra a secco armate a forma cilindrica.