Testo e fotografia di Vincenzo Battista.

“Lu lupe”, portaferiti nella guerra del 1915-’18, racconta: «Ho imparato a leggere sotto le armi, grazie a un libro che forniva indicazioni sui metodi per medicare con le erbe medicinali». Curava gli animali e gli uomini, preparava le medicine e aveva una sorta di ufficio postale a Mascioni. Visitava i malati e prescriveva loro le erbe sostituendosi indebitamente al medico condotto, che lo fece arrestare.
Nel 1924, nella pianura di Campotosto, giunsero dei macchinari per l’estrazione della torba e fu costruito un grande cantiere che si estendeva sulle paludi di Mascioni. Temendo che questo potesse deteriorare il pascolo, “lu lupe” danneggio alcuni macchinari e venne arrestato. Segui una rivolta popolare per liberarlo, le donne suonarono le campane e gli uomini si recarono al cantiere per protestare contro la “Regione torbifera” dalla quale si sarebbe estratto materiale combustibile. Qualche anno prima le campane suonarono a stormo, ricordano, e duecento persone, con in testa un portabandiera, scesero dal paese per sfidare il marchese che aveva deciso il licenziamento degli operai, con i carabinieri impegnati nella difesa degli uffici e della direzione della ditta. «Spararono, — raccontano — a terra ne rimasero quattro, dopo l’assalto, la colluttazione e la rabbia». Scriverà molto tempo dopo, per ricordare l’evento, in una ottava, il poeta a braccio Francesco D’Alessio: «Qui, più nessuno resiste al furore, tutti fuggono, come quando un torrente ne va fore: ognuno fugge e s’aiuta alle calcagna! C’è chi piange i suoi cari che al dolore, delle ferite pur la terra bagna! Cosi lasciavano il campo i mascionari che furon d’armi scarchi e rari». Ma torniamo a “lu Lupe”. Immaginate un poeta a braccio (chiamato così perché muove il braccio) davanti al lago di Campotosto che recita questi versi: ”Dal suo destriero (cavallo) scese, e come un paladino medioevale si lancio curtense ( appartenente a una corte medioevale) ”. Così ha inizio la strofa di un’ottava, i versi appunto della poesia popolare, sul personaggio “Lu lupe”. La cronaca della sommossa popolare, recitano i versi, divenne subito leggenda. Il paladino “ Lu lupe”, si lancio contro gli uomini del cantiere. Poi fu portato in trionfo per le strade del paese come un eroe contro lo strapotere dell’industria estrattiva. L’Alto Aterno è anche questo, anzi di più. Basta scendere a pochi chilometri più a sud di Campotosto, nella Conca di Montereale, e precisamente nella chiesa di Santa Maria in Pantanis, per conoscere un’altra storia, ma che parte lontano questa, molto lontano, nel tempo. Siamo intorno alla metà del XIII secolo, un pittore ignoto dipinge la “Madonna del Latte” da collocare dietro l’altare della chiesa, un genere di pittura per quei tempi realizzata prima su pergamena e poi incollata questa su una tavola di pino. Fin qui niente di straordinario. Se non fosse che la Madonna è stata dipinta con il seno scoperto che lo porge al Bambino. Da censurare quel gesto, un’eresia quella pittura, sotto pena di scomunica, poiché la Madonna non può essere rappresentata in quel modo. Il pittore ignoto, nel XIII secolo, sarebbe andato dritto davanti a un tribunale ecclesiastico, d’inquisizione, torturato magari con una ruota dentata. Gli avrebbero inflitto pesantissime pene, frustato e portato a morte per aver osato tanto, per aver rappresentato la Vergine Maria come una comune mortale. Non fu così. La storia ci racconta che la “Madonna del Latte” fu talmente accettata dalla comunità di Montereale e dal clero, da diventare uno degli esempi più importanti della pietà popolare, nell’allattamento quindi, simbolo di fertilità, benessere e abbondanza. Forse uno dei pochi esempi nella pittura medioevale in cui la Madonna diventa una persona comune, incontra la donna. Per non parlare dei miracoli, gli eventi prodigiosi delle apparizioni, poi i pellegrinaggi, le offerte degli ex voto nella chiesa di Santa Maria in Pantanis tanto, che nel 1958, la Soprintendenza, decise di restaurare la pittura su tavola. Trovò una fortissima opposizione della comunità locale: non voleva che la “Madonna del Latte” potesse essere portata via. Si scatenò una sollevazione popolare, con picchetti, controlli continui, e persino la gente che dormiva in chiesa per controllare il dipinto. Ci vollero 24 anni per convincere i fedeli a trasferire il quadro finalmente presso l’Istituto Centrale per il Restauro. Oggi, “La Madonna del Latte”, che narra anche una fiaba, si può ammirare presso il museo Munda, all’Aquila, nel nuovo allestimento del borgo Rivera.
Le fotografie. Un ansa del lago di Campotosto, con l’elicottero di Giorgio Zecca sopra il lago e le folaghe che battono le ali sull’acqua.
Computer grafica di Duilio Chilante

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