Il mito irrompe anche su Facebook e Twitter.

Testo di Vincenzo Battista.

Il mito irrompe anche su Facebook e Twitter. Torna, prepotente. Dalle oscure terre del paesaggio arcano dei timori e dei presagi, in cui, scaraventato, si era annidato, nascosto, ritrova la luce; dalle oscure e antiche paure ancestrali e simboliche, il mito torna, si apre un varco negli elementi naturali, irrompe negli avvenimenti, sbuca nelle storie collettive di “superficie”, ritrova la luce per contare, nel bene e nel male.

Sì, vuol contare e si proclama, si crea uno spazio simbolico in contrapposizione alle gerarchie della Chiesa e al disgusto che la folla prova per lui, compie una sorta di metamorfosi, ma resta in fondo se stesso, serpente. La diversità, il desueto quindi come spettacolo, va in onda, si accende lo schermo a Cocullo e il Signore del male, il mito – serpe, ripudio e immonda secolare tentazione, come vuole l’iconografia, che sia nella pittura che nella scultura storicamente lo hanno rappresentato e celebrato, selvaggia e ripugnante presenza di un angolo del mondo, è qui attivo, nel borgo divenuto simbolo dei serpenti, ma anche degli accadimenti prodigiosi salvifici, e dei serpari : “incoronato”, per un giorno presenza – mito, una sorta di santità laica, “officiante”, suo malgrado, dentro la cerimonia, dall’alba al tramonto.

Lui, che proviene dal ventre della terra cacciato, dal mito della serpe che non razionalizza la realtà, ma la traduce in termini onnicomprensivi, soprattutto emotivi davanti alle quinte scenografiche del paese di Cocullo, per diventare un modello di comunicazione, forza, visione di un mondo, di quel mondo clanico che ci arriva diritto dalla cultura preromana e dal culto della dea pagana Angizia esperta di medicina, protettrice, dalla vasta conoscenza delle erbe curative contro il veleno dei serpenti.

Insieme a San Domenico, nella processione, atto finale del lungo rito antropologico, che parte dalla notte appena trascorsa, dentro la chiesa, da parte di compagnie religiose (la testa della statua del santo, a volte, quando sfila per il paese, è coperta e avvolta dalle serpi), i serpenti “sedati” sono gli attori protagonisti del remake “Mito e modernità” che va in onda appunto nella processione di questa mattina, quando il borgo aprirà il “set”, i riflettori verranno posizionati, la scenografia consegnerà agli sguardi della folla, quasi sottomessa, il dio serpente in processione, incantatore questa volta delle genti, in quel circo mediatico dove si trova di tutto, il potente serpente per prima cosa avrà blandito il popolo e spedito poi il più lontano e in silenzio la Chiesa, sua eterna rivale. Ma non per sempre. Il Signore del male ha quindi preso possesso, e per un giorno nel corso dell’anno è visibile fuori dal suo habitat, vive, si muove, striscia tra stupore e ribrezzo, tra ammirazione e sconcerto intorno alla statua, fissa, immobile, che rappresenta l’icona di San Domenico Abate, predicatore e asceta, nato a Foligno, vissuto a cavallo dei secoli X e XI.

Nell’Italia centrale praticò un’intensa attività di pellegrinaggio, compiendo vari miracoli secondo la tradizione orale e lasciando dietro sé i segni materiali del suo passaggio divenuti luoghi di devozione: nella contrada “Via del lupo”, per esempio, nei pressi di Cocullo, su una pietra è rappresentata l’impronta del ginocchio di San Domenico lì in sosta ascetica, narrano le storie leggendarie, per recitare le sue preghiere e sconfiggere il serpente.

“L’oggetto di culto”, infine, è dunque questo, il serpente, che insieme ai lupari, agli incantatori e ai santi guaritori evocati dalla tradizione popolare del passato, ha costituito il perimetro psicologico-spaziale dentro il quale i beni culturali immateriali di un territorio marginale sono appunto una prova, con le loro diversità culturale, dei primati di un paesaggio della natura e dell’uomo che resiste, dentro i processi di globalizzazione e le rapide trasformazioni sociali.

Fotografie: Thomas Ashby, 1909.