Coronavirus: i diari, dove arrivano le speranze… L’Aquila e il Gran Sasso d’Italia.

Testo e fotografia Vincenzo Battista.

Sapevo che qualcosa avrei trovato lassù: tracce di messaggi in quel diario? Appunti? Testimonianze, certo. Ma prima, per arrivare “lassù” L’Aquila, il centro e la periferia che attraverso quasi fossi uscito da una cornice di un quadro metafisico di Giorgio De Chirico: piazze vuote, strade vuote, monumenti e fontane dai silenzi assordanti, fabbriche in disuso di luoghi inanimati, il mistero di una vita che non c’è, la “calma piatta” presagio di smarrimento e inquietudine. Scene enigmatiche di oggetti e forme dell’abitare come fotogrammi ma senza…sì senza. Sapevo che qualcosa avrei trovato lassù. Forse trenta minuti, quaranta ma poi sono inghiottito da quei tornanti che sembrano cinghie di trasmissione che avvolgono la montagna e le danno vita: respira, poi prende fiato, respira ancora la montagna, così, da tempo immemorabile.

Respira poiché diviene narrazione, lo vedremo, lo capiremo, mentre io invece vado dritto, verso l’incontro, di quei messaggi… Ma non adesso. Adesso, lasciato il nastro asfaltato dei tornanti, a piedi poi, lungo la larga carrareccia che sale, e a tratti sembra impennarsi come lo stallone furente sceso da un pendio, si è alzato sulle zampe posteriori per dimostrare chi è padrone e lì, sono rimasto basito, pochi attimi, infastidito dalla mia presenza: una minaccia per la mandria di cavalle alcune sdraiate a terra e puledri, tutto suo. Più giù, la carrareccia, si apre al Pantheon che consacra la valle e le cinghie di trasmissione che si scorgono e scompaiono per riapparire quasi misteriose. Proseguo, infine, un sentiero si inerpica tra le rocce affioranti, sale come una scudisciata, si incava, si accanisce al suolo, solcato dalla neve e dall’acqua che così lo hanno reso.

E davanti si intravede prima la sagoma in pietra, “l’edificio” sempre più evidente che si avvicina sempre di più, dove il sentiero finisce in quella fenditura della montagna che sembra proteggere “L’Acqua di San Franco” (eremita del XII secolo) della montagna omonima, che piega la geomorfologia e gli elementi del paesaggio e li stravolge toccando – narra la sua vita leggendaria – con la sua mano la roccia: improvvisamente sgorga l’acqua che sarà per molti miracolosa, da secoli a m. 1730, chiamata così poiché molto più eloquente per l‘immaginario collettivo. Ma è l’edicola in pietra dal santo taumaturgo l’ambito penitenziale per eccellenza, degli ex voto e molto ancora, punta piramidale, l’acqua e la pietra su tutto solenne e sacra, partecipata di un culto diffuso (si immerge il corpo nella stessa acqua, viene bevuta, protettiva, e si porta via per i giorni successivi) che lì riunisce il pellegrinaggio di tanti dalle attese, speranze, desideri inconfessabili se non in quel sito, riuniti in un’antologia di dichiarazioni senza soluzione di continuità: i diari che raccontano le persone, la società dei bisogni.

E la montagna che respira, quindi, un grande polmone che non cessa mai. Sapevo che qualcosa avrei trovato sul Corona virus: messaggio dentro un epistolario collettivo, che rimbalza dalla montagna di San Franco, brevi esortazioni, narrati appunto in un diario posto sull’altare della piccola costruzione in pietra e dunque frasi che dialogano con il nostro tempo: “ Sono molto triste, questo mondo si sta sgretolando, questo Corona virus sta mettendo a dura prova noi tutti” e ancora “La terra si riprende quello che noi abbiamo rovinato”, “Caro San Franco oggi per mia meraviglia ho rivisto l’acqua”. Che dire. Dalla pandemia della “Spagnola” tra il 1918 e il 1920, ma anche molto prima, questo luogo ha ricevuto di tutto, montagna sacra e leggendaria, una sorta di provider, costantemente connesso, a cui tutti possono collegarsi…

Le immagini.

Il viaggio verso il sito “L’Acqua di San Franco”, pendici meridionali della montagna omonima. Gran Sasso d’Italia. Le pietre raccolte e portate all’edicola religiosa. L’acqua.