I “Cent’anni di zafferano” di Maria Domenica. L’ Aquila, il paesaggio.

Testo e fotografia (copyright. “©”) Vincenzo Battista.

La stuoia è sotto la finestra, abbiamo messo lì sopra da poco i fiori raccolti almeno da un’ora e mezza, intanto si asciugano dalla brina, intanto si scambiano quattro parole in questa casa, ma intanto, prima di cominciare, e non è un eufemismo, si aspetta Maria Domenica Requilda Eusanio nata a Prata D’Ansidonia – dove ci troviamo – l’8 giugno 1919. Bisogna attenderla, aspettare, e capiremo poi il perché. Viceversa nel buio del campo in contrada colle Scarpa, dove si riconoscevano a malapena gli steli campanulati viola dello zafferano (così deve essere) avvolti dall’oscurità ancora chiusi che a stento bucavano la coltre nera, il sole non si è fatto attendere: ha forato come una rasoiata  colore ocre sempre più intenso la collina del castrum di Civitaretenga (frazione di Navelli) passando dentro le case e poi, infiammato e radente sull’altopiano di Navelli, dritto è venuto fino a noi, si è spalmato e  ha colorato le colline che ondeggiano e circondano Prata D’Ansidonia: uno spettacolo tra la foschia, la bruna, l’alba e l’odore dell’autunno, da queste parti. “Cent’anni di zafferano”. Quando entra Maria Domenica, la stuoia è stata poggiata sul tavolo, lei inizia prima a sfiorare il fiore di zafferano, a separare gli stimmi (la spezia) dagli stami e dal fiore campanulato. Ma il lavoro più importante e delicato, che vale tutta la stagione dello zafferano, lo farà davanti al camino: l’essiccazione dei fili con sotto la brace che li riscalda prima e poi li essicca. Maria Domenica muove le punte delle dita delicate dentro il setaccio, allarga i fili, ne sente la consistenza e la temperatura della brace sottostante che lentamente li cuoce. Lei deve fare quel lavoro, paziente, attento e scrupoloso in quei “cent’anni di zafferano”, poiché basta una distrazione, un errore, e si perde il prodotto che si porta dietro un’infinità di tempo nei campi, sì nei campi, e quei gesti antichi di strappare il fiore dalla terra, sempre gli stessi di un lascito antropologico. La raccolta, poi, dentro i cesti, il trasporto nelle case in quel disegno profetico che diverrà infine la spezia, enigma ancora oggi delle plaghe montuose interne appenniniche, millenario mito della terra dello zafferano: adesso, accade, qui…

Il campo di colle Scarpa a Prata D’Ansidonia.

820 mq. l’estensione del terreno in leggera pendenza, equivale ad una coppa. Con la stagione favorevole (quest’anno è in ritardo rispetto alla fioritura tradizionale di almeno 10 giorni) si ricavano, dopo la separazione degli stimmi dal fiore campanulato e l’essiccamento, 700 grammi di fili di zafferano. Questa stagione (ottobre- novembre) prevede invece un ricavato di 600 grammi per il basso tasso di piovosità, siccità del terreno e poca umidità del suolo rispetto all’anno precedente. La cooperativa “Altopiano di Navelli”, ai soci che sono 30, valuta lo zafferano 14 euro al grammo. La rivendita nei mercati si stima è intorno ai 20 – 25 euro al grammo. In Toscana, invece, lo zafferano viene venduto a 30 – 35 euro al grammo da altri mercati. Tanta è l’attenzione che i fiori, addirittura, nel campo di Colle Scarpa si contano: 2395 in un’ora, ma la massima produzione ci sarà nei giorni prossimi con un picco di 10.000 fioriture di zafferano in un giorno: eccellente risultato. Nel 2018 sono stati raccolti circa 16 kg di zafferano nell’altopiano e aree attigue, mentre nel 1914 su una superfice di 9 ettari  72 kg., nel 1930 su 16 ettari 182 kg., nel 1925 su 9 ettari 126 kg., nel 1890 su 31 ettari la produzione è stata di 320 kg.

La sera si preparava la minestra – ci dice Maria Domenica – per il giorno dopo, con fagioli e patate, si bollivano le “sagnarelle” o gli “straccetti” ammassati, anche per dieci persone che dalle quattro la mattina raccoglievano lo zafferano. Poi, quando tornavano nelle case dei proprietari dei campi, la mangiavano per colazione. Dopo si iniziava a sfiorare, tostare ed essiccare dentro il setaccio lo zafferano con sotto la brace ( mandorlo e quercia) del camino. Una piccola parte veniva messa dentro i comò per profumare la biancheria.

La “nivinella”, gli indovinelli ossia la “gialletta” così chiamati gli stami, si separano dagli stimmi (lo zafferano in fili). In passato si utilizzavano per tingere le stoffe di cotone, che bollivano nei caldai in rame appunto con questo scarto del fiore di zafferano. Le corone viola del fiore venivano portati nelle stalle per mangime agli animali.

Lo zafferano si vendeva alle fiere: Il 21 novembre la prima, “Madonna della Neve” a San Demetrio né Vestini; il 25 novembre “Santa Caterina” a Barisciano; il 31 dicembre a Castel Nuovo di San Pio delle Camere.

Un particolare ringraziamento alla famiglia del prof. Antonio Mattozza, Prata D’Ansidonia, e D’Alessandro Elsa.