Il Giubileo, ma non quello dell’Aquila. Celestino V e Bonifacio VIII.

Testo e fotografia Vincenzo Battista.

Mandante della sua abdicazione al Soglio pontificio con inganni e stratagemmi ( forme di occultismo ), e dopo aver tentato di sottrarre la Bolla della Perdonanza a L’Aquila, incarcerato il suo “rivale” fino alla morte per usare un eufemismo, asfaltato la memoria quindi di Papa Celestino V e il suo giubileo, Bonifacio VIII, il papa successore, alla maniera delle persecuzioni degli imperatori romani contro i cristiani : “Io sono Cesare, io sono l’imperatore” – disse di sé. Lui è quel Benedetto Caetani cardinale prima di Anagni che indossa così la sua vera veste e si rivela: ambizioso e autoritario, spietato e crudele. Sovranità teocratica, la scultura di Arnolfo di Cambio lo esalta nella plastica austerità e sacralità nel corpo del papa che rende la volontà di potenza. Relegata così la Perdonanza dell’Aquila, Celestino V e la sua “leggenda” ad una periferia fastidiosa della storia della Chiesa da far precipitare nel più cupo oblio, Bonifacio VIII proclama il giubileo nell’anno di grazia del 1300. Storica decisione la sua, una sorta di copia e incolla della Perdonanza aquilana: concedere la remissione e le indulgenze dai peccati, ma, non è un dettaglio, tramite l’acquisto di beni spirituali… Provate a pensare quali! Dante esecrò: scaraventa Bonifacio VIII all’Inferno tra i simoniaci, arso dal danaro e dal culto della personalità. Nella Basilica di San Giovanni in Laterano, una teca raccoglieva i “provisini”, spiccioli che i pellegrini di tutta Europa versavano per le indulgenze: tornesi di Francia, denari di Slavonia, bolognini, zecche feudali dalla Germania. La cronaca del tempo: “Notte e giorno due chierici stavano presso l’altare con in mano rastrelli e raccoglievano denaro senza fine…”. Così il Giubileo fece ricca la Roma di Bonifacio VIII in una sorta di Federal Reserve, senza considerare i nobili, feudatari, cavalieri e mercanti, famiglie dell’alta borghesia che non si limitavano agli spiccioli per le loro “alte “indulgenze. I pellegrini chiamati “romei”, una marea umane sull’onda delle profezie millenaristiche del pentimento e la fine dell’umanità, aveva invaso la città di Roma, accorse da tutti gli stati, dal nord Europa arrivava per la via Flaminia e dalla via Francigena a piedi, e poi quella Roma costruita da centinaia di torri già a partire dal XII e XIII secolo dalle famiglie più agiate: uno skyline unico, di grande impatto visivo. La grande bellezza. Roma. Avremmo incontrato Dante e Petrarca, Giotto, Arnolfo di Cambio, Cavallini, Cimabue. La Caput Mundi di un cantiere artistico dove resta la Torre delle Milizie che svetta alle spalle della Colonna Traiana, gli affreschi nella Basilica di Sant’Agnese fuori le mura, quelli di Santa Sabina e Santa Cecilia, quelli del Cavallini in Santa Maria in Trastevere, il presepe di Arnolfo di Cambio a Santa Maria Maggiore. Sì, la grande bellezza, ma il declino del papato medievale che Bonifacio VIII incarnava senza remore in quella ideologia perdente, inesorabile volgeva al tramonto, per sempre, nelle Grotte Vaticane… dimenticato Bonifacio VIII.

Nota.

Buccio di Ranallo.

Risiedere a Roma nel Giubileo. Il cronista aquilano Buccio di Ranallo riferisce, in relazione al giubileo del 1350, che i proprietari di case a Roma erano angeli al momento dell’accoglienza, si mostravano poi cani nel congedo. Se promettevano il letto a tre o a quattro persone ne ospitavano sette o otto.