Il guardiano del gregge. L’attacco.

Testo e fotografia Vincenzo Battista.

Il cane pastore abruzzese, ne parlano Catone, Palladio, Varrone e Columella in epoca romana. Le descrizioni esaltano soprattutto il ruolo di barriera contro i lupi predatori. Canis pastoralis o pequarius si caratterizza dal folto pelo bianco, alto dalla portata eretta, zampe poderose, la grande testa e la coda bassa. Attento guardiano del gregge, autoctono dell’appennino centrale e meridionale, da secoli, tanto da assumere e modellarsi in una specie a sé. Considerevole la letteratura e la pittura che ne esaltano le doti e le capacità unite al rapporto con l’uomo, un vincolo indissolubile questo. Ma se si entra nel suo territorio, ai margini dello stazzo degli ovini, dove il mastino abruzzese dimora spesso lungo la rete di protezione del gregge, prima lancia un lungo ululato: è il prologo. Poi si lancia, aumenta l’andatura, il galoppo, ha individuato la minaccia. E’ vicino, molto vicino, si pianta a terra con le zampe massicce anteriori, frena con la testa resa dal basso verso l’alto, la bocca aperta e infine il balzo verso la minaccia che non ha scampo. La mascella stringe, i denti si conficcano nella carne, la presa non mollerà con la testa che si scuote continuamente. Seguono gli altri mastini abruzzesi che si avventano in un nugolo di polvere, manti bianchi e il digrignare dei denti.