Testo e fotografia di Vincenzo Battista.
L’arrivo, la tappa finale nel luogo simbolo, mediatico, liberatrice dei mali, dispensatrice delle fatiche nel lungo itinerario che a piedi hanno compiuto i pellegrini dopo due settimane, sotto i boschi che hanno coperto il sole, come narrano le cronache tardo medioevali sulla “Via degli Abruzzi”, tra una natura che si è offerta, venuta in soccorso con i suoi frutti e i suoi rimedi taumaturgici lungo il tragitto, consolatrice del corpo corroso, piegato dal lungo viaggio, dagli stenti e dalle privazioni, dalla sete e dalla fame, dalle malattie, dall’inclemenza del tempo.
Con la ferrea volontà di far parte della destinazione, di quella micro-storia umana, quella dottrinale, mitico-magica lungo le direttrici del Perdono che da generazioni e nel loro Dna, e si tramanda, residuale, anche oggi tra le valli penitenziali degli Appennini, come nel santuario della “Madonna dei Raccomandati” (all’interno di una lunetta, un affresco votivo datato intorno al ‘500) a San Demetrio né Vestini, ma molto di più: un crocevia della grazia ricevuta dall’antico rito dell’incubazione nell’edificio religioso del santuario, una pratica magico-religiosa che consiste nel dormire in un’area sacra allo scopo di accedere, in sogno, alle rivelazioni sul futuro. La Conca Peligna infine, “La leggenda dei cinque fratelli”, i cinque eremiti: Santa Brigida, San Pietro Celestino, San Venanzio, San Terenziano e San Cosimo da visitare, in uno dei più importanti pellegrinaggi penitenziali dell’Abruzzo interno.
Il fine, l’obiettivo dei pellegrini, è davanti a loro, assume forma di “potenza” quando alzano lo sguardo, icona, figurazione, segno visivo sopra l’altare; trascendimento e venerazione della mensa sacra; culto e fede della tavola liturgica che li ha attirati e spinti all’impensabile, oltre ogni limite umano della fatica: ma sono lì adesso, si scoprono il corpo, il petto, le braccia e mostrano quegli uomini che sembrano usciti da figure archetipe, incise, sulle superfici delle falesie (le pitture rupestri del riparo sotto roccia di Rava Tagliata – Raiano) , e i tatuaggi color turchino che Ignazio Silone annota in un incontro con un contadino sotto l’eremo di San Onofrio (farebbero morire d’invidia tutti quelli che oggi li praticano) che ricoprono interamente ogni parte della cute, con forme e disegni, memoria visiva dei santuari visitati, delle grazie ricevute, dei voti sciolti, del “viaggio”. Questo è solo il prologo, la preparazione, poi si passa all’azione.
Nel “Trionfo della morte” un altro “viaggiatore”, ma con finalità diverse, cacciatore di stati d’animo, Gabriele d’Annunzio, è davanti a loro, li osserva, memorizza e poi restituisce nel romanzo pubblicato nel 1894, esattamente la forza della loro “missione”: “Le femmine si trascinano su le ginocchia – scrive il Vate – singhiozzando, strappandosi i capelli, percotendosi le anche, battendosi la fronte nella pietra, agitandosi come in convulsioni demoniache. Talune, carponi sul pavimento, sostenendo su i gomiti e su i pollici dei piedi scalzi il peso del corpo orizzontale, avanzano a poco a poco verso l’altare; strisciavano come rettili. Si contraevano puntando i pollici, con piccole spinte consecutive; e apparivano fuori dalla gonna le piante callose e giallastre, i malleoli sporgenti e acuti. Le mani aiutavano di tratto in tratto lo sforzo dei gomiti che tremavano intorno alla bocca che baciava la polvere segnava croci con la saliva mista a sangue. E su quelle tracce sanguigne i corpi striscianti passavano senza cancellarle, mentre davanti a ciascuna testa un uomo alzato batteva con la punta di un bastone il pavimento per indicare la via direttrice verso l’altare. . . “ con le bisacce lasciate fuori dal tempio religioso, vuote ormai dai semi di noccioli di ciliegia sciolti in bocca durante il percorso, o dai lupini ammollati in acqua di sale insieme ai pezzi di carne seccati in acqua di rose, sale e salse piccanti; e le pasticche di zucca, ribes e susine, e poi le uova cotte in acqua ma non sode insieme alla liquirizia, latte e acqua calda in piccoli recipienti; infine il pane secco sciolto nei corsi d’acqua o nelle sorgenti del viaggio penitenziale denso di incontri e “visioni”, nella certezza di un nuovo spirito acquisito, di una nuova forza che ha sfidato la natura e non ha girato le spalle al tempo. Il viaggio è
terminato. . .
La “Madonna dei Raccomandati” a San Demetrio né Vestini. Davanti l’opera d’arte.
E’ il rosso amaranto il colore che visivamente, guardando l’opera d’arte, assume il valore totalizzante intorno alla narrazione della “Madonna dei Raccomandati” (autore anonimo). Il mantello rosso amaranto appunto, che si apre come una tenda per dare rifugio, protezione ai fedeli che chiedono per le loro aspirazioni segrete l’intercessione della Madonna: lei li accoglie con la testa appena reclinata e con lo sguardo misericordioso. La “Madonna dei Raccomandati” è dentro un campo di azione, presente L’Arcangelo Gabriele ( sulla destra della lunetta dell’affresco) che dispiega il mantello sorretto poi sulla sinistra da due putti. L’Annunciazione quindi, ma anche la maternità che affiora nel ventre appena rigonfio dell’elegante abito lungo plissettato alla maniera delle vesti cinquecentesche, le persone di rango, con il velo che dalla testa, circondata dall’aureola, scivola sulle braccia aperte della Madonna nell’attesa di ricevere infine il mantello. Le braccia aperte quindi, plastica rappresentazione “dell’incontro” e, sotto la Madonna con il suo mantello, i pellegrini giunti che guardano l’affresco, simbolicamente qui, in questo luogo di culto si sentono protetti, accolti, accuditi; ci si affida a lei per essere tutelati. Una scenica pittura questa del mantello protettivo che si apre, vista a Sansepolcro nel museo civico: “ La Madonna della Misericordia o dei Raccomandati” di Piero della Francesca, 1445 – 1462, oppure nella Nunziatina di Todi, seminario vescovile, in un’opera di Cornelis Cort, artista fiammingo, datata tra il 1575 e il 1590. La confraternita dei Raccomandati fu fondata in Italia secondo alcune fonti nel 1290, con fini di culto e mutua assistenza. La chiesa, invece, della “Madonna dei Raccomandati” a San Demetrio né Vestini è inagibile, e l’affresco, simbolo della pietas della Media valle dell’Aterno, rimaneggiato e danneggiato (da due fori praticati sul lato destro della Madonna, fuoriescono perni di ferro), versa in pessime condizioni conservative.
Le fotografie del paesaggio – simbolo del “Viaggio”, i luoghi della fede e la pittura celebrativa del pellegrinaggio.
L’affresco “Madonna dei Raccomandati” della chiesa omonima a San Demetrio né Vestini (foto di Giovanni Lattanzi), aerea il Sirente – versante nord, la Maiella – versante occidentale, monte Corvo – Gran Sasso d’Italia, discesa da monte Genzana verso il borgo abbandonato di Frattura – frazione di Scanno, Francesco Paolo Michetti – particolare del “Voto” che dipinse tra il 1881 e il 1883, i personaggi de “ Il Voto”, cartone preparatorio per “Il Voto”, “Il Voto” – l’intera composizione pittorica con i pellegrini, Francesco Paolo Michetti – allegoria del viaggio, Francesco Paolo Michetti dipinge Gabriele d’Annunzio, fotografia realizzata da Francesco Paolo Michetti per la preparazione di una sua composizione pittorica, frase autografa di Gabriele d’Annunzio, le spezie che un tempo venivano utilizzate per la preparazione dei tatuaggi, il sito geografico della valle del Sagittario dove è stata ambientata la tragedia “ La fiaccola sotto il Moggio” di Gabriele d’Annunzio, il frontespizio dell’opera letteraria, Gabriele d’Annunzio, il lago di San Domenico nella valle del Sagittario e sullo sfondo il santuario di San Domenico Abate, Scanno – il costume con orecchini, merletti e collana, aerea il lago di Scanno, la Presentosa, aerea – da sinistra Castovalva – valle del Sagittario e Anversa degli Abruzzi, il “Viaggio” delle suore Celestine dal convento di San Basilio nella Basilica di Collemaggio – L’Aquila, ritratti fotografici degli anni ‘80, “Madonna dei Pellegrini” – quadro di Caravaggio del 1604 / 1606 – dipinto a olio su tela (260×150 cm) – basilica di Sant’Agostino in Roma, e un particolare della rappresentazione pittorica di un personaggio dopo il lungo viaggio del perdono.