La Lettera d’oro 2019 va a Raffaella De Nicola.
Published 13 ore ago
on 15 Settembre 2019
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Amata, odiata, lontana o vicina, presente, passata o futura, splendida o devastata… Sono tanti, tantissimi i punti di vista da cui, osservandola e vivendola, ci avete descritto la vostra città, esistente o sognata.
Amanda Sandrelli, attrice di cinema e teatro dal temperamento drammatico addolcito da una spiccata allegria, ha interpretato la lettera vincitrice della categoria principale del Festival delle lettere 2019, Lettera alla mia città, scritta da Raffaella De Nicola, cittadina de L’Aquila.
2019 | Lettera alla mia città
Raffaella De Nicola
Lettera vincitrice nella categoria Lettera alla mia città.
L’Aquila, 25 giugno 2030
Scrivo, in queste notti nere, la penna secca, le frasi asciutte, i pensieri attorcigliati al filo spinato.
Ti scrivo l’ennesima lettera, il bip bip del monitor come un metronomo
scandisce il tempo stonato, io che ti aspetto da decenni, ti parlo,
forse senti, dicono i medici, e forse le leggerai un giorno, queste
mie lettere. Avrei tanto voluto rivederti, io cullata e cresciuta nella
tua sicurezza, orizzonti freschi, verdi, infiniti, la neve, il ghiaccio,
il gelo, si lo so anche domani nevicherà, ma mai, mai, avrei pensato
che tu potessi andartene.
Invece, fra le tue vie come arterie, tra i flussi vitali delle tue
piazzette la luce tagliente che spuntava fra tetti medievali ci hai
portato, improvvisamente, all’origine di una storia primitiva, l’uomo e
il fuoco, la lotta, la sopravvivenza, la natura cannibale. E ho visto,
nello squarcio di una notte senza fine, era il 2009, il cielo
schiantarsi sulla terra e la tua implacabile forza gravitazionale che,
sottotraccia, muove furiosa i destini. Ho sentito la vita segreta
dell’universo, le pulsazioni e palpiti di un tempo spezzato per sempre,
la normalità relegata a ricordi lontani, opachi, e il dover vivere,
allora, con passo smarrito, intorno ad un’assenza. Ho visto uomini
ridere come iene e assassinare l’umanità, la gentilezza spuntare come
erba fra le rovine, lacrime ipocrite e sincere, omuncoli essere uomini e
uomini diventare omuncoli. E mi hai costretta, fra i lampi dei ricordi,
ad un viaggio
a ritroso, dalla civiltà alle forze arcaiche dell’uomo, dal centro
urbanizzato alle anonime new town costruite proprio lì, dove i castelli
fondatori medievali guardavano il cratere che avrebbero popolato e che
ora è di nuovo assente di vita. Mi hai fatto transitare da un tempo
all’altro, tornare indietro e andare avanti. Quanti blocchi con questa
latente ansia di pericolo che ti rimane appiccicata, il respiro della
vita che ti passa accanto, ti sfiora, non ti tocca e l’ardente desiderio
di tornare a vivere. E in questo viaggio a ritroso, cercando forze
primitive, il tuo inizio che coincide con il mio primo respiro, la mia
rigenerazione con la tua, ricostruirsi un’ esistenza, acchiappare
frammenti di splendida banalità, un giro in un negozio, un caffè ad un
bar, una passeggiata fra palcoscenici di altre città, e non fra i tuoi
tristi esoscheletri, per conquistare uno sguardo nuovo, fresco,
luminoso, lo stupore della normalità.
Sono andata via e poi sono tornata, poi sono andata di nuovo via e non
sono più tornata e forse tornerò o no, non lo so. Sempre però con questo
bip bip del tuo monitor, aspettandoti. I medici, ora, mentre scrivo
questa mia ultima lettera, ti stanno staccando dalle macchine, la
riabilitazione sarà lunga ma ci sarà, le forze che stai recuperando ti
restituiscono splendida ed inaspettata.
Tu hai il potere di fermare il tempo con le mani, ma il mio tempo è
diverso, siamo nani secondi rispetto al tuo battito, e la polvere nella
mia clessidra sta scivolando via. Saluto la città che non sei, ma sarai.
E se vuoi ricordarti di come eri, guarda la neve. Nei fiocchi ci sono i
racconti della nostra storia, girano, volteggiano, scendono, scompaiono
ma poi si riformano e riscendono raccontando altre, nuove, sconosciute,
storie.