La maldicenza che suona la tromba stonata… e poi quella la speudofilosofia di sant’Agnese patrona della maldicenza aquilana.

Testo e fotografia di Vincenzo Battista.

La maldicenza alla stregua di qualsiasi altro crimine ( le facoltà della sua parola perversa ), per non farla precipitare ancora in tentazioni, oltre il silenzio, al reo macchiato di questa avventatezza, nel Medioevo, veniva inflitta la pena di una museruola da portare alla mercé della ricompensa avuta per aver osato tanto, poiché tutti, ma tutti, soprattutto il popolo, potessero vedere e farsene una ragione per non cadere nello stesso criminale reato che aveva danneggiato la comunità. Giorgio Vasari ( Arezzo 1511 – Firenze 1574), artista definito pittore manierista ma molto di più, scrittore saggista e teorico dell’arte italiana, nella stanza della Fama e della Maldicenza, salone dentro la residenza ad Arezzo, interamente eseguita con la sua mano dipinta “a fresco”, oggi Museo Nazionale della Pittura e dei Beni culturali italiani, al centro del soffitto a volta è presentata l’allegoria dipinta della Fama seduta sopra il globo terrestre nell’atto di suonare una lunga tromba. Un’altra tromba è tenuta con la mano destra, quasi riposta, defilata ma sotto sorveglianza è la maldicenza. Scrive l’artista: “Nel mezzo è la Fama, che siede sopra la palla del Mondo e suona la tromba d’oro, gettandone via una di fuoco, finta della Maldicenza”. Nei pennacchi laterali delle vele della volta presenti quattro figure femminili allegorie delle arti: la Poesia fanciulla alata e coronata di lauro intenta a scrivere su un codice; la Pittura, seduta davanti ad un cavalletto con tavolozza e pennelli; la Scultura che, servendosi di mazzuoli, sbozza un busto nel marmo; infine l’Architettura con il compasso puntato sulle carte dei progetti per portarli a compimento. In questa rappresentazione troviamo l’applicazione e lo spirito celebrativo e l’erudizione di Giorgio Vasari, nel ruolo delle arti che le appartengono, vivono e si trasmettono nell’artista in uno spazio visivo e centrale per tutti, appunto sulla maldicenza non poca cosa rispetto a quei periodi storici. I cristiani da salotto, lo sappiamo, viceversa, innalzano la maldicenza con il simbolo religioso di san’Agnese aquilana in città, “ a sua insaputa”, per sparlare e dire male degli altri in quelle serate “commemorative” aquilane ( convegni, un vero e proprio festival della calunnia, sedentarie erudizioni di nobili decaduti, accademismi e formalismi, premi ai maldicenti, cortei e cori, cene collettive con il conferimento delle agognate cariche della maldicenza, alte personalità chiamate a mostrare che il mondo è delle lingue divoratrici di menzogne, attribuzioni di ruoli nella gerarchia delle cariche elettive della maldicenza, targhe e medaglie per il primato della stessa maldicenza). Tutta la città è in subbuglio e in fervore, si anima, è ansiosa, persino dai paesi uomini e donne vengono incontro a questa “visione” con i vestiti migliori indossati per esserci e partecipare alla saga. Tutto è possibile nelle ruminazioni di un pensiero negativo sdoganato, ma solo in questa città capoluogo di regione e nella sua antologia storica del comitato costituito un pugno appunto di buontemponi fratelli maldicenti, ma che si prendono sul serio, dai cappucci neri, hanno letteralmente inventato l’evento aquilano e colto nel segno: annualmente nel calendario delle manifestazioni culturali cittadine la maldicenza c’è, da non crederci affiancata alla Perdonanza di Celestino V , alla processione in onore di San Bernardino da Siena, il Corpus Domini, il “Venerdì Santo”. Per L’ Aquila le speranze si affievolisco quasi a scomparire per non soccombete e morire di calunnia, poiché la città ha assunto per altro il logo di “gettarla in casciara” e ridere sopra la Civitas Aquilana dichiarata maldicente, onorata e lusingata per altro, sponsor elettivo e in prima fila. Tra tutte le città fondative medioevali della dorsale appenninica italiana la città dell’Aquila chiede questo primato, le altre, viceversa, attente, però al loro blasone, alla loro storia di civiltà collettiva e non “contaminate”, ripudiano la maldicenza come la pesta trecentesca. Papa Francesco sulla maldicenza: «Su questo punto, non c’è posto per le sfumature. Se tu parli male del fratello, uccidi il fratello. E noi, ogni volta che lo facciamo, imitiamo quel gesto di Caino, il primo omicida della storia». I gossip che sembrano leggeri si trasformano, si alimentano della propria essenza, l’interiorità oscura attacca i meccanismi di autodifesa: le radici del pettegolezzo, della maldicenza piaga dolente, aspetto distruttivo soprattutto per la Chiesa, ma non per la Civitas Aquilana…