Testo e fotografia Vincenzo Battista.

Non sapremo mai la crescita esponenziale dei social nelle immagini, e la loro divulgazione, che si accosteranno alla processione del Venerdì Santo. Sappiamo, viceversa, che la città delle arti minori, così definite, ma estinte e decadute nell’immaginario collettivo, cioè la doratura, il mosaico in fusione nella ceramica, la laccatura, l’intarsio e l’ebanisteria (nello stesso legno cromato e intarsiato), il rame sbalzato, i tessuti e la decorazione pittorica sfileranno in processione, nei simulacri religiosi sui fercoli (una portantina) di una grammatica collettiva che tutti possono comprendere in ognuno di quei pezzi portati a spalla con proprie caratteristiche visive tematiche del Vangelo. Sappiano che le tecniche appena citate sono scomparse, appartenute ad una città del Novecento, ad una scuola di formazione statale e poi alle botteghe cittadine dei restauratori, antiquari, collezionisti e commercianti, in definitiva ad una idea di artigianato artistico locale, sostituito da quello che vediamo tra le strade della città…. Sì, potremo definirla la città barocca, in corteo, con il “Cristo Morto”, sontuosa, con le confraternite penitenziali, gli ordini religioni, la catarsi è lì e si vede, la fine apparente del Cristianesimo, ma bisognerà attendere, per adesso è l’opacità, la “fine del tempo”, la caduta dell’innocenza, il bene e il male sullo stesso primato, il piano inclinato dell’attesa che si spera volga, e negli eventi susseguenti. E quei pezzi d’arte visiva, quei catafalchi nella loro “attesa”, dal sapore bizantino, sfilano, le “icone”, che veicolano un significato, non vedranno mai la Resurrezione… come oggi noi la conosciamo: il tempo è fermo, non si tocca la terra(è in silenzio),nulla germoglia. Il corteo chiuso nel suo perimetro di rassegnazione è il sudario dell’umanità di una città. Cristo Morto e la Mater Dolorosa tra il pianto funebre e le lamentazioni dei cantori del Miserere di un Selecchy elaborato, polifonia della tradizione orale del Salmo 50 del re David, lo sa bene la civiltà contadina nel significato del “Passaggio”, il seme che muore per poi germogliare nella terra: il tempo ciclico. La processione, un viaggio nel passato, arcaico, l’eterno dualismo come detto tra morte e rinascita. La morte che supera la morte, va in scena, itinerante, come il “Compianto” di Giotto per esempio, Raffaello, Caravaggio e molti altri, celebrato dalla storia dell’arte “l’oltre”, l’imperscrutabile, nelle profondità dello spirito religioso. Mantegna, “Orazione nell’Orto” – tempera su tavola – rappresenta un paesaggio arido e spoglio, drammatico del Venerdì Santo che si prepara ad una sera cupa e crepuscolare, drammatica dell’evento. Il cordoglio collettivo in città e tra le vie, il dolore divenuto un’epica, rituale, totem inalienabile di una civiltà multiculturale e ipertecnologica, coincide con la metamorfosi della stagione (ma i social non lo sapranno mai!). La vita trascende la morte, infine. I “Misteri”, visualizzati. Paura e riscatto, afflizione e conforto si inseguono, animano e avvolgono la processione: per il contesto cattolico è la notte della meditazione. L’espiazione, il punto di non ritorno apparente, così le opere d’arte dei simulacri (Remo Brindisi e aiuti, 1954) nella penombra e un silenzio surreale si muovono nella città murata. Infine i 364 giorni, certo i 364 nell’oblio dei simulacri della processione del Venerdì Santo, parcheggiati da qualche parte, muti testimoni inanimati che andrebbero restituiti alla città, in un allestimento propositivo permanente, delle opere stesse, poiché di questo si tratta. Vivono nel dimenticatoio polveroso se non oltraggioso rispetto al valore che rivestono, poiché sono il risultato di un artigianato artistico da leggenda, di alta valenza semantica nelle corporazioni dei Quarti aquilani, e per questo hanno un valore aggiunto. Restituire la città del ‘900 come noi da qualche parte conosciamo la sua eco, una formulazione nuova questa che associ Aquila, una delle più antiche diocesi italiane, alle manifatture cittadine dei simulacri, che per altro affondano le sue radici nei secoli passati, e per capire, andiamo a visitare il museo MuNDA.