Testo e fotografia Vincenzo Battista.

E se per gli esteti del paesaggio gli steli della Falasca (Imperata cylindrica) mossi, senza soluzione di continuità davanti a noi, creano un effetto cinetico, ondulato, particolare sulle colline, sferzata così è la pianta dal vento, dalla bufera in arrivo carica di neve che coprirà tutto. L’effetto è quasi cinematografico, poiché quest’habitat intorno si muove e vibra come preso da un incantesimo : la montagna si lamenta; invece, per gli etologi, gli escrementi, lungo la carrareccia, sono testimonianza di un lupo solitario e il suo software “incorporato” nel cervello, in linea, “programmato” da oltre 300mila anni, una macchina perfetta, non commette errori con il suo scanner quando mappa il paesaggio. La sua presenza predatoria è furtiva, non può essere che così, forse il mammifero e lì per raccogliere gli avanzi di qualche escursionista lungo il corridoio faunistico alle pendici della località “Condole” ( Comune di Santo Stefano di Sessanio). ” Le Cònnel”, così chiamato l’insediamento d’altura, un “condominio” ante litteram, aggregato “avanti dei tempi conosciuti” per usare un eufemismo, lottizzazione “prima dei motori” di uomini e animali in una montagna che offriva le pietre e nient’altro, porgeva le pietre per edificare e nulla più, non c’era molto, e lo capiremo. Indignarsi, infine, per questo abbandono di un ideogramma primitivo costitutivo, storicizzato e la sua mancata custodia, tutela, in un deprecabile stato; indignarsi, se questo bastasse, davanti al disfacimento delle “Condole” saccheggiate dal tempo e condannate all’irrilevanza, incuria, relitto semi sommerso a vantaggio solo dei social… Un “fossile” di una lingua perduta che andrebbe riportato nello scenario del Gran Sasso. Un monumento all’ignavia, adesso. E sappiamo che non sono solo pietre così composite e strutturali, ma la loro unicità psicologica e lo spirito segnalano una “frontiera”, da valicare… così come è indubbio lo sforzo antropico, un tempo, di una economia d’altura nelle alte terre nelle plaghe dell’Appennino Centrale. Un unicum le “Condole”, se possono rivelare e iscriversi, quindi, nell’interesse sui Beni culturali nel paesaggio diffuso della cultura materiale. Sito improponibile nella geografia delle conche carsiche del Massiccio se non presente per le azioni di gestione e uso della montagna, esclusivo della narrazione delle genti, in una nicchia topografica del Gran Sasso d’Italia, non replicabile altrove, e sostanziale per una economia di autosufficienza della comunità di Santo Stefano di Sessanio custodi un tempo di questi “dadi gettati sul paesaggio”: un introito di sussistenza in relazione al lavoro – rifugio , tutela e uso del territorio, micro economia che oggi non vorremmo capire solo dagli archivi ( se mai esistano!) per la decomposizione del sito davanti ai nostri occhi. I tasselli della storia delle civiltà appenninica nel nostro recente passato. “Le Cònnel” nelle diverse cadenze del dialetto, toponimo che indica una valle sinuosa che si insinua e si espande infine in una pianura protetta da una giogaia di monti, solcata dalle mulattiere (A. Clementi), sottovento, coltivata con lenticchie e orzo, ci dicono a Santo Stefano di Sessanio. Ma forse, proviamo ad ipotizzare, è la radice lessicale di culla, poiché si ritrova in “Cùnnela” oppure “Cùnnola” appunto la culla (dal latino tardo cunula), concava, citata questa nel volume di Franco Narducci “Grammatica e vocabolario del dialetto aquilano”(2015, I.A.E.D.). Non il paesaggio quindi, l’area geografica diffusa, ma il manufatto abitativo in pietre “Condole” che dà valore con il suo nome al territorio compattandolo. La loro forma è assimilabile, nella volta a botte, delle diverse censite, con l’impianto architettonico concavo, di notevoli dimensioni, ad una culla appunto: rifugio, protezione e sicurezza per i transumanti coloni coltivatori, che in gruppi coesi risiedevano nelle “Condole” durante la stagione estiva ( una di queste è addirittura cuspidale con un’apertura con cornici in blocchi di pietra, sulla parte retrostante; l’ingresso un tunnel, e il muro perimetrale interno sporgente nel suo alzato quanto basta per l’impianto del soppalco). Una “ Condola”, invece, presenta materiali lapidei di spoglio, pietre lavorate, conci, grandi lastre trasportate lì da qualche sito storico, la vicina Grancia cistercense di Santa Maria del Monte, struttura produttiva per il capitale fondiario (edificata intorno al 1222, alt.1619 m. Una sorta di hab, centro di smistamento, punto nevralgico per il processo logistico dei prodotti cerealicoli e della pastorizia). Tornando alle “Condole”, per le dimensioni, appunto, le grandi pietre, e la lavorazione su di esse (lastra con scanalatura e un foro, ancora visibile) forse sono precedenti a quel periodo medioevale di fondazione della grancia. Questi enormi blocchi calcarei sono stati utilizzati per gli stipiti e sostegno infine dell’architrave: l’ingresso coperto, breve corridoio e l’accesso alla costruzione in pietra e calce che si apriva in uno spazio interno considerevole. Poi gli angoli esterni di appoggio della “Condola” armati con pietre squadrate per fronteggiare l’intero impianto nel declivio, e un recinto in pietra a secco protettivo davanti l’ingresso.” Il condominio”, quindi, vediamo. La volta a botte, i fori dell’attacco delle travi che sostenevano il soppalco in legno e ospitare un numero importante di persone nei lavori agricoli, poiché è evidente che le “Condole” sorgano sui fianchi delle colline per non occupare gli spazi coltivati del fondovalle. Il vano pianoterra come il piano superiore presentano due linee parallele di finestre strombate (c’è appena da sorridere a vederle per la somiglianza, una brillante idea questa: lo stesso principio attuato per le chiese romaniche: lo stipite è tagliato in obliquo naturalmente con pietre lavorate e scalpellate). Lo spazio – ambiente era architravato con le nicchie di appoggio per le lucerne, le bisacce ed altro per la dispensa. Il perimetro del muro di circa un metro di alzava e poi lentamente si iniziava la chiusura a forma di botte utilizzano sempre le pietre, con una tecnica costruttiva autoctona (selezionavano quelle lunghe e a cuneo per il contrasto, di tenuta, una volta terminato l’arco a tutto sesto), unite le pietre con la calce, raccolte dai cumuli di macerine a ridosso delle stesse “Condole”. E ancora i vani ricavati dentro le “Condole“ per gli ovini, nicchie scavate, corpi laterali rivestiti in pietra per il sistema misto del lavoro: coltivazione cereali – legumi e allevamento con numeri ridotti di pecore, ma solo quando i terreni permettevano l’accesso degli animali stanziali, poiché tutta l’area era a vocazione agricola rilevante. Infine un’ultima nota: le pietre forate, angolari della struttura, scavate con uno scalpello per legare con la fune l’animale da carico che sostava all’esterno della “Condola” davanti ad un paesaggio bonificato da una quantità di pietre impressionanti e accumulate nelle macerine. Disegnano geometrie, ancora oggi, un paesaggio stridente, dissonante che sembra raschiare il territorio montano e consegnargli un’eredità siloniana, anche da queste parti. Le pietre tolte dai terreni, un’opera a dir poco biblica. Un processo di secolarizzazione, il più grande cantiere dell’Appennino Occidentale dei cistercensi committenti nei “campi aperti” e i coloni lavoratori asserviti, mai affrancati, mai liberi, prigionieri della loro povertà, inginocchiati e genuflessi davanti al “richiamo”, alla missione stessa dei loro datori di lavoro, i cistercensi: trasformare luoghi aspri e selvaggi in terre fertili e feconde, “Ora et labora…”, se fosse mai stata provvidenziale questa citazione per i coloni…

Con noi Gianfranco Francazio.

Si ringrazia Mario Narducci.