Testo e fotografia Vincenzo Battista.

Già in epoca romana le foglie d’oro erano battute sui filamenti metallici, allungati, preziosi appunto, ridotti in film sottilissimi anche di 0,4 millesimi di millimetri di spessore. Le lastre d’oro si battevano nel medioevo tra due lamine di rame e si assottigliavano. Poi la saldatura con l’utilizzo di colle animali (interiora) o paste resinose vegetali ricavate dagli alberi. La foglia d’oro veniva lentamente martellata e aderiva alla superficie marmorea. Il supporto poteva anche essere scavato leggermente per far aderire ancor meglio la sottile lamina della foglia d’oro. Infine la cesellatura nei bordi ben rifinita e la lucidatura su tutta la struttura marmorea. La brunitura, la fase finale, permette appunto la lucentezza e compattezza degli intarsi d’oro nella geometria compositiva del cosmatesco. Negli intarsi il prezioso blu di lapislazzuli. Le geometrie compositive rispondevano a canoni e classificazioni visuali di moduli ricorrenti in quel contesto storico medioevale nella sagomatura delle tessere. Si nota, in alcune tessere, il cedimento della foglia d’oro e il marmo sottostante che riemerge. I pannelli con opus tessellatum, con tessere di porfido, serpentino, verde antico, paste vitree policrome e a foglia d’oro in cerchi intrecciati e figure geometriche inscritte provengono dalla recinzione presbiteriale e dalla schola cantorum. Gli archi frammentari in pietra calcarea di un rosone, il pilastrino in opus tessellatum, le sculture frammentarie raffiguranti una bifora in marmo bianco modanato si ipotizza provengano da un monumento funebre della fine sec. XIII- inizi XIV.