Le mura e Aquila. Un’altra città scoperta con la classe 5 A del liceo “D. Cotugno”- L’Aquila.” Il viaggio…”.

Testo di Vincenzo Battista.  Le immagini degli studenti 5 A.

E’ Buccio da Ranallo, ci piace pensarlo come un affabulatore, poiché nella sua “Cronaca” : “ Lo cunto serrà d’Aquila, magnifica citade, – Et de quilli che la ficero con grande sagacitade:  – Per non essere vassalli cercarono la libertà…” si schermisce, da cantastorie popolare racconta in questo verso che diventerà una sorta di inno all’intraprendenza, ma anche una fonte relativa alla fondazione di Aquila per poi andare oltre, sì, è in questa frase che cela un sorta di causa – effetto ( vassalli e libertà), e svela una parola importante, il sostantivo sagacità: prontezza di mente, capacità di comprendere e affrontare le situazioni: lì, proprio lì c’è lo spirito, l’idealità e i sentimenti che modellarono lo scenario delle genti del contado e poi aquilane nella città nova da costruire e difendere da alte mura a cui noi dobbiamo il nostro tempo… Buccio muore nel 1363, ma raccoglie probabilmente narrazioni orali di testimoni protagonisti dei propositi della nuova città, li elabora nella sua “Cronaca”, poiché la scelta del sito iniziale e retrodatata nel 1229, si evince dai documenti papali, mentre il Diploma della fondazione di Aquila si muove intorno alla data 1254, per alcuni definita incerta. Aquila quindi turrita, inespugnabile, un mix proviamo a pensare, costruita come una sorta di Micene ( 1300 a.C.) e siamo andati a vederla con i ragazzi del 5 A del liceo “ D. Cotugno” (ospiti in una straordinaria accoglienza delle celestine) nello spigolo più settentrionale delle mura della città ( su, il convento delle monache di San Basilio) che cingono l’orto e le dipendenze del monastero, ma poi precipitano le mura giù nella forra, si appoggiano nelle rocce affioranti, nelle cavità e in quell’angusto luogo esterno invalicabile : una “rocca di Micene”. E poi l’Agorà, continuiamo in questo mix, l’esempio della Agorà greca (460 – 430 a.C.), luogo nell’antichità della polis, raduno di filosofi, templi, teatri, centro sociale, politico e commerciale un sito molto frequentato che non è altro la piazza principale di Aquila così voluta nelle prime mappe ideogrammatiche disegnate con inchiostri vegetali sui manoscritti che, in quel vuoto d’ambiente apparentemente insignificante, fu collocato il pensiero al centro della città, del divenire. Divenne lo spazio della parola e del confronto sì, come nella cultura ateniese: quel suolo, la piazza, possiamo ancora calpestare ininterrottamente… E infine, il mix si conclude, lo abbiamo chiamato così questa miscela di propositi, con il castrum romano, inizialmente accampamento per le legioni, ma poi principio urbanistico che va da Mileto e Pireo (V sec. a.C. ) a New York : il cardo e il decumano, la maglia urbana ortogonale, il reticolo di vie perpendicolari tra loro, la scacchiera nella sua geometria calata sul paesaggio, e possiamo immaginare Aquila, quella collina, con fossati, depressioni, incisioni, avvallamenti ma lì l’acqua: una morfologia inquieta e incerta ma spartiacque di un dominio politico amministrativo di due etnie autoctone, domata e ricondotta all’uso quotidiano di una collettività da proteggere, certo, da difendere nelle libertà, al suo dominio senza più schiavitù, e sulla natura dei luoghi difficile e, soprattutto, alla visione oltre ogni immaginazione di quello che si sarebbe fatto, grazie ai Genius loci in esercizio permanente. Le mura: spazio simbolico contro le ostilità, rifugio della mente contro le angosce, barriera e mito, le mura di Aquila con le sue porte che riecheggiano ancora nella città – territorio, grande argine di difesa assoluta nella sua merlatura e parapetti, i pomeri esterni, il muro di cortina, i salienti, le torri, i camminamenti battuti su e giù dalle milizie aquilane in quei 6 chilometri, circa, 157 ettari al suo interno, il perimetro murario serpeggiante e battente irrompe nell’asprezza del suolo appenninico e ingloba il più vasto centro storico medioevale italiano. Tutto questo ci parla di sfide, senza soluzione di continuità dentro un grande evento di migrazione antropica e culturale del medioevo italiano, la nascita di una città di Aquila dal nulla che fece sobbalzare le cancellerie degli Stati della penisola. E poi le scarpature (evitare la scalata) inaccessibili sotto le verticali delle mura, i fossati naturali su cui viaggia la difesa piombante a muratura e a tratti rettilinea, irrobustita da torri poligonali e i camminamenti con il coronamento merlato per la protezione dei difensori e feritoie verticali (le arciere) che permettevano il tiro di arcieri e balestrieri, oltre le caditoie per il lancio di materiali sugli assalitori. Infine, per vederla Aquila, in un foto-finish, in una istantanea dobbiamo spostarci nel palazzo di Siena e guardare il grande affresco “Allegoria del Buon Governo” di Ambrogio Lorenzetti. Un’opera ispiratrice dei principi della condivisione, della convivenza applicati agli statuti comunali. La città e le vie, le bifore delle facciate, i tetti merlati e le case con le logge, le torri, gli archi, i fiori sulle terrazze, artigiani, commercianti, le attività edilizie, le botteghe artigiane (vedi le Cancelle aquilane), lo scarico di derrate alimentari portate dai muli,  cavalieri e scudieri entrano in città, gli animali condotti al pascolo, le donne che trasportano su una tavola il pane dal forno, gli insegnanti al cospetto di un uditorio, una donna con una corona in testa su un cavallo va in sposa, le donne danzanti e festose in una città pacifica e florida. In definitiva le virtù civiche: sapienza, coraggio, giustizia e temperanza che da qualche parte, qui, a L’Aquila, bisogna pur ritrovare…

Un particolare ringraziamento alle suore celestine di San Basilio – L’Aquila, per l’accoglienza dimostrata verso i ragazzi del liceo “Cotugno”.

Nelle immagini, l’affresco :“Allegoria del Buon Governo” di Ambrogio Lorenzetti.