“Lo sguardo degli angeli sulle persone…”.

Testo di Vincenzo Battista.

So che è un terreno scivoloso, arduo, dove incombe la retorica del buonismo; so, l’uso delle cosiddette belle parole che tanto piacciono… ma, allora, come è possibile tenerle a bada, scinderle e compendiarle quelle parole, liberarle per dare a loro nuova leggerezza, e oltre, metterle insieme, raccontare, sì raccontare un contesto fragile, uno spazio delicato, un tempo che molti di noi hanno vissuto e lascerà un segno…; come è possibile poi scrivere, allora, senza proclami; come è possibile avvicinare e unire le parole senza che queste assumano connotati aulici, solenni.

So, certo, che adesso, parto da lontano, da questa lunga premessa che prova a liberare, a togliere, a non irrompere, ma viceversa ad aprirsi uno spazio per una narrazione, per stringere come una messa a fuoco, proviamo a pensare, una sorta di micro camera di una steadicam che si muove, così leggera mi piace pensare, per essere un apparato “delicato”, non invadente, che guarda gli enormi edifici e il via vai delle persone e poi sale, sale i gradini delle scale senza incombenze, forse ha un salvacondotto per il suo compito, può entrare, le è permesso, osserva, varca senza rumore una porta, silenziosa, e poi un’altra, osserva e non commenta, si muove nei lunghi corridoi e “cerca”, attende, sosta e riprende, non “scruta”, ma osserva e registra , forse è attratta, se volete, dal “lieve sorriso”, dopo che è entrata, ora, nel reparto di Neurochirurgia dell’ospedale San Salvatore dell’Aquila, diretto dal dott. Alessandro Ricci .

“Il lieve sorriso degli angeli”: “lo sguardo degli angeli sulle persone”, se volete, lì nelle stanze e nei letti allineati, come nel film “Il cielo sopra Berlino” diretto da Wim Wenders, dove il regista, partendo da queste due citazioni iniziali, propone una nuova spiritualità e tutela, con il mondo degli angeli, vigili, sull’umanità, custodi delle persone in difficoltà a cui sono vicini: li tengono protetti, li ascoltano, li confortano in una metafora cinematografica raffinata, in quel punto di vista talmente particolare dell’umanità dei bisogni senza difese, senza rete, nelle malattie del tempo, per tutelare infine ogni singolo essere vivente, soprattutto le persone anziane – e ancora nella pellicola di Wenders – il mondo sognato dai bambini (gli unici che possono vedere gli angeli, gli unici a guardare ancora verso il cielo): una comparazione trovata con il film, un’analogia con l’Unità operativa complessa di Neurochirurgia si allinea, lì, nel reparto, con gli “angeli…”, prende forma nelle scene finali girate dalla microcamera che adesso ha svolto il suo compito, ferma, nel reparto di Neurochirurgia: un presidio ma molto di più, forse un progetto per rimodulare e riscrivere la linea del tempo, il rapporto medico – paziente e fronteggiare la malattia, il dolore e la solitudine perché non siano il cuore dell’esistenza.

Immagine ” Il cielo sopra Berlino” di Odeon Firenze.