Testo e fotografia Vincenzo Battista.

Non sapremo mai se i giapponesi, che hanno visitato i campi di zafferano nei giorni trascorsi sull’Altopiano di Navelli, sono gli stessi, composti ed educati, inchinanti ad ogni domanda resa loro, poiché, qualche giorno prima, sono stati da noi osservati agli “Uffizi”, davanti alla “Primavera” e alla “Venere” di Botticelli. Piccoli, con il collo sudato, sorridenti e pieni di attenzione con la bandierina turistica, una piccola folla, (e meno male che si potevano guardare le opere). Sappiamo per certo , invece, che lo zafferano, in Giappone, veniva utilizzato per tingere la seta e realizzare i kimono, abbigliamento tradizionale dagli accesi colori, mentre nelle maschere rituali le donne aristocratiche e le cortigiane, di uno status sociale elevato, univano lo zafferano con il legno di sandalo, miele, olio di cocco e zucchero. E poi la danza, sì la danza in Giappone e nell’ Oriente, che esprime le proprie movenze attraverso immagini visive interpretando la performante nella raccolta dello zafferano dai campi: i gesti e l’inchino, il corpo che si flette al fiore viola dell’immortalità, nel palmo della mano si stringe, strappato dalla terra con la sua corolla e dentro i tre stimmi preziosi che determinano l’incantesimo. Il fiore “dipinge”, nelle scenografie, le movenze e la gestualità del corpo e si danza, quindi, volteggiando con il colore appunto viola nella sintonia del creato – così si ritiene – in una dimensione onirica, nella profondità dell’estasi secondo i dettami e i principi della cultura esoterica orientale. Invece, qui, ad “Oriente” di Navelli, nella contrada “Campo unico”, una terra di circa 3500 mq. dell’azienda allevamento e produzioni agricole di Gaetano Cantalini (Civitaretenga – Navelli) la brina, all’alba, quando si raccoglie il fiore, ha quasi cristallizzato le corone di zafferano, chiuse e raccolte ma non per molto con i primi fasci di sole. Utilizzati 17- 18 quintali di bulbi di zafferano trapiantati intorno al 10 settembre, tardi rispetto alla stessa “scavatura” che si esegue nel mese di agosto. La previsione degli stimmi di zafferano essiccati è di circa un chilo, costo al grammo 14 euro. Negli anni ’60 del Novecento la famiglia riusciva a produrre anche 2 chili di zafferano. Il quantitativo finale, quest’anno, verrà conferito alla “Cooperativa Altopiano di Navelli” e venduto. Ma adesso il brand dello zafferano, forse un dilemma che ricorre, ma sarà mai possibile? Una “visione” che superi la stagnazione spesso legata all’incomunicabilità, ai pallottolieri elettorali, alle “alte mura” civiche. La visione di un’unica entità comunale – territoriale dell’Altopiano di Navelli, per ricapitolare e ripartire con una progettualità paesaggistica inedita (anche in presenza di ridotte produzioni), intorno al fiore dello zafferano e su un paesaggio dormiente oggi, come una sorta di “Fortezza Bastiani” delle attese, guardando Montalcino, Val d’Orcia, San Gimignano. Da quest’ultimo sono scesi i produttori in Abruzzo per acquistare i bulbi di zafferano dai coltivatori dell’Altopiano, mentre loro ne riducono la produzione. Non ne ha certo bisogno il borgo dalle “altezze” rinomate, per il trend turistico e culturale su cui svetta e diversifica l’offerta culturale, ma le iniziative, la velocità e la loro “visione”, che propongono intorno al fiore di zafferano, da quelle parti, fanno scuola. Qui, invece, la solitudine dei numeri primi, davanti ai giapponesi, e magari non è poco…

Hanno aiutato alle fasi della “sfioritura” del fiore di zafferano, nell’azienda Cantalini a Civitaretenga, quattro donne fuggite dall’Ucraina: Kharkiv, Odessa, Kremenchug. Si sono presentate: due docenti universitarie, un’economista e una attrice drammatica. Sono qui da un anno e sei mesi.