Testo e fotografia Vincenzo Battista.

Palazzo Bonasoni, il Fai. Residenza del ‘500 di Bologna, ospita gli uffici del Servizio Patrimonio Culturale della Regione Emilia – Romagna. Nelle giornate di primavera del FAI (Fondo per l’ambiente italiano), dedicate ai patrimoni dei beni culturali, il palazzo Bonasoni è stato contestualizzato come attrattore di un’area urbana di Bologna dalle molteplici valenze storico – artistiche, e nelle sopraffazioni strutturali dell’edificio dei secoli precedenti giunte, in definitiva, a quell’edilizia bolognese aristocratica che il palazzo ancora interpreta. I soffitti delle sale ottocentesche costituiscono il background, il retroscena, e fanno da sfondo ad avvenimenti trasportati nel passato, nel senso che le volte volevano riconquistare, a favore dei proprietari e dei visitatori dell’epoca, quell’opulenza tardo manierista e barocca, le vestigia delle corti, quel senso sconfinato e avvolgente della pittura che non concede respiro ma solo meraviglia, stupore. Questo raccontano le allegorie delle divinità dispensatrici di sapienza, i putti danzanti dentro ghirlande, cornucopie, festoni, fiori, stucchi e cornici dorate, medaglioni con personaggi elettivi. Riecheggia un certo modello di allegoria, la maestria delle profondità spaziali, la prospettiva, le ricche decorazioni senza soluzione di continuità, la teatralità delle scene a “cielo aperto” nelle campiture del soffitto” con le sirene che vogliono sorreggere la volta, stemmi nobiliari in un passato di censo e nobiltà. Ma oltre un elegante soffitto a cassettone geometrizzato e in oro con ricche allegorie della natura, altri soffitti sono stati dipinti dagli autori che hanno metabolizzato e importato visivamente, con le dovute reinterpretazioni, gli affreschi a stucco del Sepolcro dei Pancrazi, prima metà del II secolo d. C. Roma, oppure la Casa di Augusto, affresco ca. del 30 a. C., la Casa del frutteto o dei cubicoli o la Villa di Arianna (Stabiae), ma soprattutto l’arte paleocristiana con le struccature delle catacombe di Domitilla nelle decorazioni dei soffitti e quelle di San Pancrazio, per finire con gli affreschi nella Villa romana sotto la Basilica di San Sebastiano datati 235 ca. Il bianco accecante degli stucchi e quelli pitture “grottesche” che la seconda ondata del Rinascimento osserva e copia, a  partire dai resti sotterranei della Domus Aurea di Nerone ( scoperti nel 1480), e divenuti popolari nella pittura di Raffaello, Pinturicchio, Lippi e molti altri, hanno attraversato quindi i secoli per poi “rimbalzare” infine nei  soffitti delle sale del palazzo Bonasoni in quella imitatio antiquitatis  dell’archetipo del linguaggio visuale, in una infinità catalogante di segni allegorici, grafici, scenici di vitalità e vivacità: doveva stupire, come oggi a Bologna.