La tua storia dentro il fiore di zafferano(Prima puntata). 

lunedì 22 ottobre 2012 06:22

di Vincenzo Battista

Il corpo curvo coperto da un velo, come prevede la funzione, avanza e sale, lentamente, i gradini, e con il braccio che si allunga cerca infine la colonna per riposarsi, per appoggiarsi, sì, alla colonna del tempio di Diana (costa sud occidentale della Sicilia) di Selinunte: rimarrà così un po’ prima di entrare, quando, un odore di zafferano, partito proprio da lì, dal palmo della sua mano, avvolgerà il portico.


Il pittore Paneno (metà del secolo V a.C.), fratello minore di Fidia (scultore e architetto greco), colorava l’intonaco delle mura e dei templi con una soluzione di latte e zafferano e Plutarco (46 d.C. circa – 125 d.C., scrittore e filosofo greco antico), ricordava, che se si strofinavano le colonne dei templi fuoriusciva l’odore acre dello zafferano.

2500 anni dopo. Le mani freneticamente si muovono sullo starter della moviola che ha appena acceso i primi fotogrammi in bianco e nero proiettati sullo schermo. L’istituto Luce di Roma, strumento di propaganda nato nel 1925. Un imponente cineteca sfuggita in parte ai bombardamenti dell’ultimo conflitto mondiale, ancora da inventariare ed aggiornare.

Anno XV dell’era Fascista, ‘numero 1055’. Così è scritto sulla ‘pizza’, ma le immagini che ci scorrono davanti sono precedenti, forse datate intorno al 1929 poiché solo dal 1932 è subentrato il sonoro nei cinegiornali Luce, passato allora alle dipendenze del Ministero della cultura popolare ‘per la propaganda politica e la diffusione della cultura attraverso la cinematografia’, e poi perché qualche bambino, scopriremo dopo, è stato riconosciuto e vive sicuramente in età avanzata da qualche parte dell’altopiano di Navelli, in provincia dell’Aquila.

‘La coltivazione dello zafferano’: così titola il documentario Luce che in 12 minuti e 30 secondi (si può vedere sul sito: www.archivioluce.com) trascina le eccezionali immagini proiettate nelle piazze dei paesi, nelle aie, con quell’idea vincente del film, strumento della misurazione del consenso e controllo sociale secondo un solo intendimento: piegare le larghe masse popolari al fascismo, dentro i cinegiornali destinati anche alle sale cinematografiche, con la finalità di controllare tutte le attività educative, propaganda e patriottismo.


Ma torniamo al film. I paesi e la lunga strada brecciata dell’altopiano di Navelli percorsa dai carri e il suo carico di contadini ‘al canto delle campagne d’Abruzzo, con la delizia nel cuor. . .’ recita una delle tante didascalie che sicuramente sortirono gli effetti di una campagna autarchica dello zafferano che le pretese fasciste volevano elevare a simbolo e predominio rispetto ad altre coltivazioni. In parte vi riuscì. Con l’istituzione del Consorzio dell’Aquila e l’ammasso obbligatorio si portò lo zafferano a raddoppiare la produzione, stimata intorno a trenta quintali, ma molto lontano rispetto alle raccolte di fine ottocento.

Le immagini continuano a scorrere: Civitaretenga, San Pio delle Camere, i campi coltivati a zafferano, i contadini chini nella raccolta del fiore: ‘oro rosso’ per i braccianti, ‘sognato’ e posseduto per poco tempo (l’unico modo per avere soldi immediati come non l’avrebbero mai più rivisti), che i fotogrammi in bianco e nero insistono a riprendere, evidenziare, in un alba dalla densa foschia, che sembra quasi somigliare a questa, dove aspetto, ai bordi di un campo di zafferano sotto il borgo di Caporciano.

Ombre, che bucano la coltre lattiginosa, monocromatica, si avvicinano, sono i raccoglitori e con i cesti iniziano a prendere lo zafferano : ‘Erano tre faccende in quilli tempi da fare, et tucte necessarie, che non se poteano innutiare, de vennegnare le vigne, pistare et recare, sfiorare la soffrana, arare et seminare’ narrava Buccio di Ranallo intorno al 1360. Una coltivazione che non è mai cambiata nel corso dei secoli nel lavoro manuale di ‘sfioratura’, di preparazione ed essiccazione degli stimmi e nelle inalterate forme di conservazione: un prodotto culto, prima di conferirlo nella mani dei grossisti che imponevano il prezzo, ‘la voce’, in un cartello a cui tutti dovevano sottostare.

Dentro il campo le persone adesso si muovono nello spazio geometrico di strisce fiorite e camminamenti, raccolgono la preziosa spezia, in fretta, gettando di tanto in tanto un’occhiata alla luce del sole che intanto si è alzato: se forasse la coltre biancastra distruggerebbe la fioritura e quindi gli stimmi. Torneranno domani, e poi ancora, con gli stessi antichi gesti e gli oggetti di sempre per la raccolta, i cesti di vimini, fino a quando i bulbi, sotto la terra, in una mutazione botanica che impressionò anche Ovidio nelle ‘Metamorfosi’, smetteranno di spingere il fiore, i getti floreali così chiamati, in questa terra appenninica tra rocce e montagne, ma che sembra concedersi, come d’incanto, spezza l’incantesimo, con il misterioso fiore di zafferano.

(Giovedì 25 ottobre ‘Il profumo del fiore degli antenati – Seconda puntata’)

Fotografie di Vincenzo Battista