Santa Maria del Monte nel Gran Sasso d’Italia. Il paesaggio diffuso del lavoro.

Testo e fotografia di Vincenzo Battista.

” La casa del ministero di Casanova” sita in terra di Paganica, nominata in un istrumento rogato dal notaio Giovanni Odoristi il 16 gennaio 1289 doveva essere Santa Maria del Monte. Antinori ricorda che nel 1325 si stabilirono i confini tra il territorio di Paganica (che si estende tutto sul versante meridionale del Gran Sasso) e quello di Assergi ” Ad oriente di Piedilago alla casa del monistero di Casanova fin’alla cima del monte di lato” e che nel “1592 la chiesa di Santa Maria del Monte e i fondi di quella si dissero in territorio di Santo Stefano. Esso perciò detto monistero della diogesi aquilana e dipendente della badia di Casanova nella Villa S. Maria fra i monti a dodici miglia dall’Aquila verso oriente”. Così il Lubin. Dell’attività svolta nella grancia restano visibili i “mandroni”, stazzi costruiti da muri a secco sul lato nord dell’impianto della grancia articolato in nuclei funzionali di un organismo a pianta regolare, così come i “casarini” ruderi di costruzioni in località “Condole”. Nel catasto Onciario del 1753, alla voce “Beni dell’università di Santo Stefano” si dice che possedeva ” una Montagna per uso di Pascolo promisqua con le altre terre della baronia di Carapelle confinante a settentrione colle montagne di Barisciano e con l’erbaggio demaniale e sia di stretto di essa Università, a ponente con le montagne di Branconj e di Paganica, a levante con la montagna di Castel del Monte. essa montagna puote a un dipresso comprendere nel suo pascolo pecore 8000; possiede un parto detto volgarmente Prato di Casanova, sito dentro di detta montagna, per pascolo speciale de’ Bovi. Suo proprio ed assoluto, solito di vendersi a regione di carlini dieco a bue”. L’Antinori, parlando di Santa Maria del Monte in Campo Imperatore, afferma che questa aveva nel 1592 fondi in territorio di Santo Stefano. Tra le risorse del territorio di Santo Stefano vanno ricordati i piani carsici della Prosciuta e del Chiano, delle dimensioni di 3,6 il primo e 2,6 chilometri quadrati il secondo. I due piani sono stati da sempre intensamente sfruttati con le coltivazioni caratteristiche dall’Alto appennino e costituiscono il principale ” agro – alimentare” del Comune di Santo Stefano di Sessanio. La grancia di Santa Maria del Monte doveva avere come modello quello della masseria (sono ancora visibili i resti della scala esterna) con fondaci e stalle, per l’uso generalizzato delle strutture voltate, sia per la chiesa che per gli altri ambienti, oltre alle volte a botte, si può pensare ad un insediamento importante il cui impianto architettonico è derivazione culturale di quello del convento di Santo Spirito d’Ocre, la grancia o grangia, dal latino “granum”, granaio, aveva il compito di sfruttare, valorizzandolo, il territorio dell’abbazia da cui dipendeva attraverso la coltivazione e  l’allevamento. Era una unità economica in grado di dare lavoro non solo ai conversi ma anche a veri e propri salariati detti “donati”, laici che prestavano la loro opera ricevendo in cambio il mantenimento. L’abbazia restava dal punto di vista organizzativo, il centro direzionale e spirituale in grado di imprimere la sua impronta e di valorizzare le particolarità ambientali e le possibilità offerte dalle risorse locali.

Santa Maria del Monte dunque era una grancia del monastero di Santo Spirito, dipendente dall’Abbazia di S. Maria di Casanova, nel territorio di Santo Stefano di Sessanio, nella diocesi di Valva, ai margini dell’altopiano di Campo Imperatore. Sorse ad opera dei Cistercensi che dal secolo XII fino al XIV furono presenti sulla montagna organizzando il territorio in funzione produttiva e ” dovette essere, secondo Alessandro Clementi, un grande centro di smistamento del bestiame intorno al quale sicuramente gravitò un’imponente massa i lavoro umano e che dovette comportare un notevole investimento di capitali”. Varie informazioni ci aiutano a identificare questo centro con i ruderi attuali. Il territorio dove sorse la grancia fu donato dalla contessa Margherita di Loreto nel 1191 all’Abbazia di Casanova. le prime notizie sull’attività della grancia, già costituita e funzionante, si hanno al momento in cui il territorio su cui sorgeva divenne tenimento di Paganica quindi sotto la giurisdizione della diocesi di Aquila e non più quella di Valva. In una sentenza del 1303 del vescovo aquilano Nicola Castrocello venivano esentati dal pagamento delle decime i conventi di S. Spirito d’Ocre, San Benedetto e Santa Maria del Monte. La vita di montagna può certamente condurre ad una certa arcaicità; ma non perché le società montane sono tradizionaliste ed arretrate (un luogo comune particolarmente radicato negli abitanti delle pianure – la grande epoca della transumanza, all’inizio dell’età moderna – mostra ad esempio, una penetrazione commerciale nell’economie montane di gran lunga più vivace di quella vigente di norma nel mondo rurale delle pianure). A quota 1396 m. in località Condole sono ancora visibili i ruderi di ” casette” in pietra, con copertura a botte, utilizzate a fini agro- pastorali, legate all’insediamento cistercense del monastero di Santa Maria del Monte sull’altopiano di Campo Imperatore. L’impianto architettonico e le tecniche di costruzione dimostrano l’impegno pianificato di utilizzazione e organizzazione del territorio montano soprattutto dell’allevamento. Anche in questa zona c’è un esempio di utilizzazione delle grotte per la pratica stanziale della pastorizia, come nel caso delle “locce” di Barisciano. Anche qui l’apertura della grotta è stata chiusa con un muro a prolungamento della stessa, coperto da una volta su cui si apre un foro per l’aereazione; la lettiera è sopraelevata rispetto al pavimento e posta vicino all’ingresso. Si notano nicchie derivanti da una progressiva edificazione all’interno. Nelle casette sono ancora leggibili tecniche di costruzione con gli attacchi delle travi del solaio in legno, che prevedeva diversi piani di vita al piano terra e corpi laterali con ingresso secondario per il bestiame. Il fatto accertato induce a pensare che la società di montagna è geograficamente tagliate fuori dalle mutevoli complessità delle proprietà fondiarie delle pianure e dai rapporti di potere delle città italiane, che sono continuamente protese a rovesciare assetti sociali contrapposti. Da ciò il sopravvivere delle antiche forme collettive di produzione di queste valli ereditate dalle antiche società urbane dell’impero romano; ma nello stesso tempo tale isolamento permise più tardi ai signori feudali di queste valli di resistere per lungo tempo alla pressione dei comuni e in seguito all’espandersi del sistema capitalistico. E questi aspetti si rispecchiano sull’architettura. I paesi del Gran Sasso pur conservando il tessuto medioevale, hanno subito un rinnovamento architettonico nel Rinascimento, non solo nei maggiori edifici ma anche nella edilizia minore, che presenta spesso forme tipicamente quattrocentesche che conferiscono loro un aspetto insolito nella regione e rivelano la presenza di architetti toscani. Ciò è dovuto certamente al fatto che furono investiti dalla signoria dei Medici e i Piccolomini. Per questa omogeneità di caratteristiche i comuni di Barisciano, Calascio, Carapelle Calvisio, Castelvecchio Calvisio, Poggio Picenze, S. Pio delle Camere e Santo Stefano di Sessanio mostrano caratteri architettonici comuni. Oggi questo patrimonio architettonico ha bisogno di un intervento che risalga a monte delle cause dello spopolamento montano. Il caso limite è forse quello di Santo Stefano di Sessanio che ha visto in due decenni ridursi la popolazione ad un terzo, così che oggi i suoi edifici per lo stato di abbandono sono divenuti fatiscenti. il fenomeno si estende, seppure in proporzione meno gravi in tutto il comprensorio e grava anche su altri comuni montani d’Abruzzo.

Uno degli elementi importanti del medioevo è la concezione dello spazio. Il cielo contrapposto alla terra, dio al diavolo, il concetto di alto è associato a nobiltà d’animo, purezza, mentre il basso è rozzezza, impurità, male. L’eremita sale nello spazio terreno fino a toccare il punto di congiunzione con lo spazio celeste. la montagna è il luogo che permette di realizzare questo incontro. Ma vi sono altri spazi che concorrono ad una planimetria del corpo e dell’anima. Ad esempio l’incastellamento, la nascita di una città e il commercio. ma anche lo spazio figurato della nuova effervescenza religiosa, tra cui la nascita del monachesimo, dei movimenti ereticali, l’inquisizione, i movimenti religiosi, gli ordini mendicanti, l’immagine di Dio e una vita culturale che alimenta la rinascita del XII secolo tra fede e ragione.

I Cistercensi

Il ritorno alla semplicità della chiesa primitiva è il punto focale del rinnovamento della spiritualità medioevale. La ricerca dell’ideale evangelico segue tre strade: la povertà che implica al ricorso manuale per mantenere sé stessi e procurarsi le eccedenze da distribuire ai poveri; il rifugio nel deserto della solitudine con la conseguenza che l’eremita era considerato l’incarnazione del tipo umano più compiuto e perfetto; il ritorno alla vita comunitaria con la quale si combinava la tendenza eremitica in quanto la vita solitaria sfociava spesso in un apostolato itinerante. Le più forti aspirazioni di rinnovamento si manifestavano nell’ambito monastico unificato dalla tradizione benedettina. L’esempio più importante fu la comunità creata nel 1098 da Roberto di Molesmes a Citeaux presso Digione. Nel 1150 essa raggruppava circa 350 abbazie e alla fine del secolo circa 500. Citeaux ovvero Cistercium da cui “Cistercensi” fu un centro della letteratura monastica nel XII secolo. L’affermarsi dei cistercensi fu dovuto all’equilibrio che seppero dare fra la vita attiva e la vita contemplativa, ma anche all’influenza di San Bernardo (1090 – 1153). proprio San Bernardo è l’incarnazione di questo nuovo modo di vivere che propone una forte spiritualità con l’azione. Una spiritualità imperniata sullo spirito d’umiltà e di penitenza, sulla carità e l’amore con una introspezione via privilegiata di accesso a Dio. Un’azione che lo portò pur essendo un mistico a distinguersi sul piano politico per la sua aggressivitàˆ, prese di posizione nelle controversie dottrinali predicando la Crociata e combattendo gli scismatici e gli eretici. La vita del monaco era anche caratterizzata dall’austerità dei costumi, semplicità dell’abbigliamento, frugalità nell’alimentazione, pratiche ascetiche, rispetto del silenzio.