Testo e fotografia di Vincenzo Battista.

«Alla fine lo trovammo noi – raccontano – dopo alcune ore, di notte, seguendo uno dei due possibili itinerari che aveva potuto fare con le lampade frontali». Il gruppo del Soccorso alpino risalì la Fossa di Paganica, e quel suo complesso in abbandono che era stato l’ultima opzione, per proteggersi da quello che si stava scatenando fuori. La bufera, incombente prima, e poi sempre più disastrosa, assume i contorni più misteriosi, apocalittici, drammatici poiché la rapidità del suo arrivo, silenziosa e avvolgente, sembra quasi inconcepibile nello spazio montano che si annulla. Quell’uomo aveva acceso un piccolo fuoco dentro un locale rurale e si preparava a passarvi la notte. Una delle due squadre risalì Valle Fredda, Sella della Scindarella e poi giù per la Fossa di Paganica mentre l’altra scese dall’albergo di Campo Imperatore, il piano di Pietranzoni e poi il bivio di San Egidio. Qualcuno del soccorso della Guardia di Finanza (SAGF) vide una punta di luce che si muoveva, un bagliore misterioso nella tempesta di neve, una luce fioca filtrare dall’oscurità di quella barriera di nevischio: lo trovarono, l’allarme rientrò, le squadre del soccorso si congiunsero e quell’uomo, diretto ai ruderi di Santa Maria del Monte, si salvò, lungo una pista di neve che risucchia in un vortice tutto quello che incontra, che finisce per diventare immaginaria, non più riconoscibile, terra e cielo si mescolano, la morfologia del paesaggio cambia in una morsa avvolgente, non più punti di riferimento ma solo sbandamenti, recuperi e disastrose cadute nel turbine del vento, la barriera di nevischio che toglie il respiro e il vento gelido, terrore e fatica si mescolano, fanno il resto. Si è soli e abbandonati, spogliati di qualsiasi desiderio, senza più lucidità, stretti nelle difese che si allentano, i movimenti sempre più lenti, il corpo pesante, assuefatto a quella strana voglia di rilassarsi, di riposarsi, fermarsi, senza più forze, esausti, alla fine, soli, nell’attesa… ed è tanto leggendaria, mitica, la bufera, avversata e ammirata, temuta e sfidata, da portarsi dietro avvenimenti disastrosi, come vuole la sua natura, che non concede appelli. Siamo tornati . Santa Maria del Monte e delle nevi, appena si scorge, dentro questa solcatura che attraversiamo, modellata dal carsismo che si insinua, viaggia, ondulata, dopo il lago di Barisciano e Passaneta, anch’essi “ immaginari”, alla fine si mostra nel suo ultimo disegno, diventato per gli escursionisti il carattere primitivo, il tempio dove sono state consumate le sfide alla montagna e alle sue bufere, “l’originale” di Campo Imperatore, ridotto ad un rudere con una vela di pietra che ancora si alza dal perimetro murario come un urlo, una scultura che esce dalla prateria, davanti a monte Prena e Camicia, davanti al profilo di una pianura allora ignota e premonitrice.
La struttura fu edificata come grancia (per la custodia dei prodotti agricoli) dai circestensi , ma anche sito estremo, incomprensibile ed enigmatico per gestire il paesaggio e ricavarne profitto e, soprattutto, edificio religioso che racconta una lunga battaglia, sfide che oggi sono improponibili, contro l’asperità del Gran Sasso per marcare i suoi limiti conosciuti, una frontiera per esserci, nel suo ultimo insediamento oltre il quale c’era “l’ignoto”, la dorsale più alta degli Abruzzi, chiamata “Terra di Germania” dai viaggiatori , per le condizioni ambientali. Così nel 1222 si decise di sfidare la natura e costruire l’impianto architettonico, grande come un campo di calcio, con la chiesa, il pozzo, i cortili, il chiostro, i magazzini e le stanze dei monaci, e fuori i mandroni per accogliere il bestiame e poi dissodare le terre incolte, per sottrarle al mito dell’impossibile a quelle quote, e sfidare, sì sfidare, in quella storia che si scriveva, le bufere di Campo Imperatore, l’orlo più avanzato di una antropizzazione, misteriosa e leggendaria, avvolta nel mistero, degna del romanzo “Il nome della rosa”.

Le fotografie. Prima di una bufera ( con Gigi Benedetti), ricognizione con il Sagf – L’Aquila, Campo Imperatore, Santa Maria del Monte.

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