Via Roma, ‘portaerei e linea smilitarizzata’
mercoledì 20 novembre 2013 12:30

Fotografie di Vincenzo Battista

di Vincenzo Battista

La croce. Il suo simbolismo spaziale: i bracci corrispondono ai quattro punti cardinali, i quattro elementi (aria, terra, cielo e fuoco); ma è anche asse del mondo tra il cerchio (il cielo) e il quadrato (la terra).

La croce ordina, ricolloca, dispone secondo il criterio religioso dell’Albero della vita, è il centro mistico del cosmo, sintesi della spiritualità e della eterna salvezza, della Passione e della Resurrezione secondo i dettami cristiani; può diventare anche ponte, viatico, conforto e consolazione così com’è posta sul fianco di via Roma, nella facciata della chiesa di Santa Croce, ubicata appena all’inizio del principale asse urbano della città dell’Aquila.

La città anche così vuol rappresentarsi, tessuto poroso al tempo della sua fondazione, ha assorbito nei secoli tutto quello che poteva pretendere dall’ambiente circostante e dalle culture locali, compresi i comportamenti collettivi ed individuali, inclusi miti ed ideologie, ombelico di un paesaggio dalle molteplici espressioni divenute case-pietre, edifici, tra le quinte delle montagne. Ha disegnato una sua personale inimitabile scenografia gerarchica, nelle maglie urbane, nei tracciati, nelle tipologie delle chiese, piazze e fontane e soprattutto nei quartieri.

La città, quindi, è luogo-catalogo di beni culturali, patrimoni spesso incompresi, prodotti storici del genius loci. I beni culturali, tuttavia, restano l’utima frontiera, l’ultima speranza di tutela, poiché manifestano il valore civile e il fondamento dell’appartenenza e dell’identità storica di una popolazione che dovrebbe sentirli propri: ogni pietra, ogni intonaco, nelle sue pieghe è riconducibile ad una determinata e circostanziata azione di una realtà antropologica e per questa ragione corrisponde, almeno sulla carta, a doti inalienabili, irrinunciabili, d’identità storica e fondamento di appartenenza di una popolazione.

La città dell’Aquila immateriale, invece, è disegnata e osservata sulla carta geografica, ma sembra riportare lì, alla grande croce topografica costitutiva di due grandi arterie (via Roma e Corso Vittorio Emanuele), punto di intersezione dell’impianto urbanistico cintato da alte mura, che separa per aggregare, divide per comunicare, taglia vie e piazze, ma solo per unire e condividere, attraverso le molteplici espressioni e le parole dei suoi cittadini.

E via Roma, chiamata “il Corso” non è soltanto l’asse fondante della città, ma il capoverso, l’inizio del racconto, la vicenda di una missione impossibile – la costruzione della città nova a.d. 1200 tra nevi perenni, paure, fiere fameliche, miti e sogni – di un viaggio nel tempo di cui non abbiamo più memoria.

E’ la via delle due più importanti porte fortificate a doppio ingresso (Barete e Bazzano), la strada diritta, così chiamata, via Roma, del centro civico, delle feste rinascimentali e delle processioni, delle chiese che si affacciano su di essa come una sorta di spartito musicale, della gente in cammino. Ma adesso luttuosa e sepolcrale,cupa giacenza di linea urbanistica, corpo estraneo, attaccata nel suo bulbo fondativo, la sua origine, ma un tempo trasformata, la via, in una sorta di portaerei con le rampe di lancio dei “buzzichi”, barattoli con il carburo di tungsteno per saldature, messi a terra, sigillati con l’acqua, tanto che il gas che vi si sprigionava risaliva lentamente e con una carta accesa si innescava la miccia da un foro: uno spettacolo pirotecnico. Esplodevano così i “buzzichi”, si alzavano come missili fin oltre lo skyline dei palazzi, il “38° parallelo” del nostro “Sud-Est asiatico”, la “linea smilitarizzata” dei Kamen rossi, confine di guerriglia, Via Roma, e messa sotto tiro, pronta ad esplodere ancora con le pasticche di potassio ridotte in polvere con l’aggiunta di zolfo, collocati sotto pezzi di mattonelle che per l’attrito con l’asfalto si facevano esplodere portandosi dietro tacchi, scarpe, contusioni e imprecazioni da parte dei passanti (si attendevano) e delle donne con le buste della spesa, incazzate, come gli uccelli che avevano abbandonato il nido sopra le fronde del campo di battaglia e i bombardamenti di Via Roma.

Dopo, gli “artificieri” con i pantaloni corti, “ragazzacci” del quartiere di Santa Croce, sgombrata l’area e bonificata, servivano la messa nella chiesa di San Paolo…