Dentro gli sguardi della fotografia…

Testo e fotografia di Vincenzo Battista.

” La foto – ritratto è un campo chiuso di forze. Quattro immaginari vi s’incontrano, vi si affrontano, vi si deformano. Davanti all’obbiettivo io sono contemporaneamente: quello che io credo di essere, quello che vorrei si creda io sia, quello che il fotografo crede io sia, e quello di cui egli si serve per far mostra della sua arte”, – scrive Roland Barthes in ” La camera chiara”, un saggio sulla fotografia che viene definita ” un medium bizzarro: falsa a livello di percezione, vera a livello del tempo”. Quel “tempo” a noi interessa, poiché sottratto alla cancellazione, alla sparizione, che la fotografia ha documentato, e torna, imponente rivive davanti ai ritratti. Noi, non sapremo mai quello che volevano diventare i personaggi fotografati, ma attraverso la posa, i loro occhi, in definitiva la sintesi “misteriosa” che fa di sé la fotografia, riusciamo a bloccare, a percepire le microstorie di ognuno, fatta di guerra, emigrazione, lavoro e fatica; miseria, condizioni sociali e spesso arbitrio dei poteri locali. Ma sapremo viceversa penetrare quegli sguardi di donne e uomini, bambini del sud Italia, inconfondibili, e forse riusciremo anche a capire quello che loro non volevano essere. Nel piccolo paese di Mammola, in provincia di Reggio Calabria, di difficile individuazione sulle carte geografiche, ma che potrebbe essere San Benedetto in Perillis, Acciano, Castelvecchio Subequo, o Cerchio in Abruzzo, Nicodemo prima, Pietro e infine nel 1936 la sedicenne Rosa Giovanna per 50 anni, non certo con qualche imbarazzo per il suo ruolo femminile, praticarono l’arte del “fotografaro”. Il piccolo patio della loro casa era lo “studio” dei ritratti, realizzati davanti ai fondali sempre uguali, illuminati solo dalla luce naturale del piccolo giardino. Da lì passarono tre generazioni: dal Fascismo e le durissime condizioni dei contadini, ai carbonai; dai braccianti alle classi privilegiate fino al dopoguerra, alla Repubblica, al miracolo economico e infine agli anni ’80. Un luogo, la casa Gallucci, divenuta uno schermo costantemente aperto da cui far scivolare i volti, semplicemente farsi fotografare; da lì passava di tutto e il paese di Mammola, le storie personali e il Sud di “Cristo si è fermato a Eboli” celebrava la sua immutabile storia subalterna, raccontata oggi dalla forza espressiva dai ritratti fotografici, “testi narranti”, antologie di dolorosi avanzi del passato, dei survivals, necessari per capire nella fierezza dei volti, la degradazione umana che si nascondeva spesso dietro quegli occhi di artigiani, contadini e pastori; e poi “Gnuri” e “Don”, ma loro erano un’altra cosa.

Le immagini: Acciano e Castelvecchio Subequo ( AQ ).