Testo di Vincenzo Battista.

” La penna di uno scrittore  si forte come la clava di Ercole e la scimitarra di Scanderberg. L’uomo colla penna alla mano  nella grande sfera della sua azione. Chiuso nel suo gabinetto, minaccia, fulmina, tuona, tramanda gli egregi fatti, immortala gl’ illustri uomini, svela le gran verità. Lo scrittore difende l’innocenza, la virtù oppressa, ispira i sensi magnanimi, marchia con il ferro caldo il delitto. La penna arresta le idee fuggitive, fa circolare i pensieri, ravvicina gli amici, i teneri amanti, fa conversar cogli assenti. Più potente della voce, suon passeggero, la penna non può essere incatenata; quel ch’essa scrive, corre, penetra, eternamente rimane. La penna madre delle gran meraviglie. Ma alla penna riuscirebbe vano di far tali prodigi senza la Carta”, scrive nel panegirico ” Discorso intorno alla carta” Ignazio Niccolò Vicentini nel 1833, testo diretto alla ” Società Economica di Aquila” per migliorare, dice, ” la mia cartiera a Tempera – continua nella relazione l’imprenditore – le macchine e gli ordigni”, e poi la sistemazione dei canali e corsi d’acqua di uno dei tanti insediamenti di archeologia paleoindustriale della Riserva del Vera, parco territoriale di 30 ettari, alle pendici del Gran Sasso, nei pressi dell’abitato di Tempera, a pochi chilometri dall’Aquila, che tra polle, copiose sorgenti, cascate, rivoli e infine il corso d’acqua freddo e limpidissimo del Vera, avvolto da un fitto bosco di pioppo nero e salice bianco, risaliamo, a piedi, lungo il sentiero degli antenati gestori delle acque e dell’ingegno delle forze idrauliche dei mulini, valchiera da panni, cartiera, pastificio e valchiera da rame documentata quest’ultima fin dalla seconda metà del XVI secolo. E proprio nell’antico abitato di Tempera e nella scomposta urbanizzazione recente che ha modificato quell’equilibrio fra paesaggio naturale e umano, si trovano le tracce di un capolavoro di armonia: il ” paesaggio dell’acqua”, unico nel suo genere con muri a secco e terre umide ricamate come un arazzo; dai corsi d’acqua irrefrenabili che formavano una sorta di tela di ragno, un fitto reticolo di rivoli e canali con sbarramenti, paratie e deviazioni che oggi penetrano ancora negli orti residuali, nei nuovi giardini trasportando trote, anguille e una volta anche i gamberi: ” la pesca miracolosa – raccontano – a domicilio. Era sufficiente fare manutenzione ai canali per tirare fuori i pesci che dalle sorgenti di “Capo Vera” e “Tempera” iniziavano la discesa fino al loro destino. Una meravigliosa geometria dei campi quindi, della case coloniche e dei vigneti, in una particolare segmentazione, scendeva giù dalle colline fino ai complessi di archeologia industriale. Questo era il paesaggio coltivo, ondulato fino al fondovalle dalla rara capacità umana di equilibrare l’ambiente con la micro -agricoltura. Concludeva il suo “discorso” Vicentini : ” Or per aver il fin quì forse troppo abusato della vostra sofferenza,  tempo che ristringa le mie vele. Da quando finora per me stato ragionato sembra, o Signori, apparir chiaro il pregio e l’utilità della Carta…”.

 

Il paesaggio del Vera, immagine d’epoca

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Una fiera a Paganica negli anni ’30

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Immagine d’epoca

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Una processione a Paganica negli anni ’60 ca.

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